Gli attacchi dello Stato Islamico ai terminal petroliferi intimoriscono sia i mercati mondiali sia le compagnie petrolifere. Molti sono gli interessi in gioco nella difesa del petrolio libico
di Francesca La Bella
Roma, 15 gennaio 2016, Nena News- Dopo gli attacchi delle milizie dello Stato Islamico agli impianti petroliferi, la scorsa settimana, la produzione di petrolio della Libia si attesterebbe al di sotto dei 400.000 barili al giorno. Secondo le dichiarazioni del portavoce della National Oil Corporation (NOC), Mohamed Harari, la riduzione del processo estrattivo, dal 2011 ad oggi, sarebbe stato graduale, ma gli eventi di questi ultimi giorni avrebbero portato ad un improvviso ed ulteriore rallentamento della produzione portando la stessa a circa il 75% dei volumi rispetto a prima della caduta del Colonnello Muhammar Gheddafi.
Le azioni armate di gruppi facenti riferimento allo Stato Islamico libico contro i terminal petroliferi di Es Sider e Ras Lanuf avrebbero provocato la quasi totale distruzione di sette serbatoi di stoccaggio e il trasferimento immediato di parte del petrolio verso altri siti considerati a maggiore garanzia di sicurezza. Secondo fonti locali un ulteriore attacco sarebbe stato tentato via mare nel porto petrolifero orientale di Zueitina, ma le forze di sicurezza sarebbero riuscite a proteggere l’impianto. Nelle stesse ore, invece, nella città costiera di Zuwarah, i lavoratori del porto occidentale di Mellitah sarebbero stati evacuati per alcune ore dal terminal a causa di scontri armati nei pressi della struttura.
Per quanto Harari abbia sottolineato come non esistano conferme dell’incursione via mare a Zuetina e come non sia chiara l’appartenenza dei gruppi coinvolti negli scontri di Mellitah, la percezione di un cambiamento nella strategia dello Stato Islamico in campo petrolifero e di un accresciuto senso di insicurezza di Governo libico e investitori privati nel settore, risulta evidente. Nei giorni successivi ai fatti, secondo il Libya Herald, il Governo di Tobruk avrebbe inviato un contingente di truppe nel sud della Cirenaica a difesa dell’area petrolifera di Jufra, per timore di attacco di ampia scala dello Stato Islamico contro le installazioni di greggio e gas della zona. La risposta del NOC, invece, è stata di più lungo periodo e tesa a garantire le proprie relazioni con gli investitori stranieri in una fase di acutizzazione della crisi.
Mustafa Sanallah, presidente della compagnia petrolifera di Stato libica, ha, infatti, annunciato la volontà di incontrare ad Istanbul i rappresentanti delle principali compagnie petrolifere presenti in Libia. Nei primi giorni di questa settimana si sono, dunque, svolti gli incontri con nove compagnie internazionali: Turkish Petroleum Corporation, ENI, la russa Tatneft Company, la francese Total E & P e la norvegese Statoil, la tedesca DEA (Deutsche Erdoel AG), la britannica BP (British Petroleum), l’algerina Sipex (Sonatrach International Production and Exploration Corporation), l’indonesiana Medco International. Secondo quanto riportato dallo stesso sito del NOC, gli incontri sarebbero stati intesi a mitigare gli effetti delle circostanze attuali consentendo alle compagnie internazionali di riprendere le proprie attività estrattive nel Paese. Sottolineando come, a fronte di un prezzo del petrolio in continuo calo per effetto di dinamiche indipendenti dal contesto libico, la ripresa dell’esportazione del petrolio locale costituirebbe un fattore di rilancio del settore, Sanallah ha invitato alla collaborazione di tutti i soggetti coinvolti per la risoluzione della questione interna al territorio libico. A tal proposito il presidente del NOC avrebbe anche dichiarato di essere fiducioso rispetto alla costituzione di un governo di unità nazionale. Secondo le sue previsioni, in caso questo avvenga, la produzione petrolifera libica potrebbe essere portata a 1,2 milioni di barili al giorno, avvicinandosi con rapidità ai 1,6 milioni di barili del 2011.
La preoccupazione per il petrolio libico e per gli effetti del blocco della produzione sul mercato mondiale viene espressa anche dal centro di ricerche della Royal Bank canadese (RBC). Secondo un report del mese di dicembre del gruppo di studio guidato da Helima Croft, la Libia ricoprirebbe un ruolo centrale nelle fluttuazioni del petrolio per l’anno 2016. A seguito del crollo del prezzo del petrolio a causa delle politiche di deflazione dell’Arabia Saudita e dell’ingresso massiccio nel mercato di Shale Oil statunitense, la Libia potrebbe essere l’unico Paese capace di mettere ingenti quantità di petrolio sul mercato. Secondo i ricercatori, in caso di stabilizzazione dello scenario politico libico, si potrebbe immaginare per il 2016 un incremento fino ai livelli dell’ottobre 2014 (950 mila barili al giorno) con conseguente eccesso di offerta sul mercato mondiale e probabili ricadute anche nelle dinamiche interne all’OPEC.
L’industria petrolifera libica sembra, dunque, essere al centro degli interessi di soggetti tra loro molto diversi ed, apparentemente, distanti. La centralità della questione e le scelte strategiche dello Stato Islamico potrebbero, però, fungere da collante tra le diverse istanze aprendo ad azioni di pressione sui governi di Tripoli e Tobruk per il mantenimento di un livello minimo di sicurezza nel Paese sia sui governi stranieri perché agiscano a difesa delle proprie compagnie operanti in Libia. Nena News