Dopo molti mesi di battaglia, Sirte è caduta. I militanti dello Stato Islamico hanno dovuto lasciare la città che è così tornata sotto il controllo del Governo centrale. La fine dello scontro lascia, però, spazio alle contraddizioni di un Paese frammentato
di Francesca La Bella
Roma, 13 dicembre 2016, Nena News – Tutti i media internazionali hanno dato notizia della presa di Sirte. La città che, dopo Raqqa, avrebbe dovuto essere la nuova capitale del Califfato è, infatti, stata conquistata dalle forze governative. Decine i cadaveri lasciati sul terreno in una battaglia durata sette mesi che ha visto, oltre alle forze interne, anche molti stranieri partecipare ai combattimenti: foreign fighters provenienti da Africa e Medio Oriente tra le file dello Stato Islamico e militari statunitensi ed europei a supporto dei governativi. Immenso per le forze interne in termini materiali e simbolici, il valore militare di una battaglia, come questa, che ha fatto pochissimi prigionieri e molte vittime. L’impatto di questo evento, trascende, però, dall’ambito militare e si evidenzia, forse in misura ancor maggiore, nel settore economico e nella disputa di potere tra gli attori della politica libica.
Per quanto riguarda il piano economico, inizialmente la condizione di disequilibrio del Paese e la perdurante lotta contro lo Stato Islamico, hanno permesso alla Libia di ottenere condizioni vantaggiose durante le discussioni sul congelamento della produzione petrolifera. Con la caduta di Sirte, però, la Noc (National Oil Company) può iniziare a sfruttare concretamente questo vantaggio, lavorando per riportare la produzione e l’esportazione libica a livelli pre-crisi. Secondo quanto dichiarato da Mustafa Sanallah, Presidente della Noc, attualmente la produzione si attesterebbe intorno ai 600.000 barili al giorno, ma l’obiettivo sarebbe quello di duplicarla nel breve periodo, raggiungendo, già nei prossimi mesi, i 900.000 barili al giorno.
In un Paese che, per decenni, ha basato la propria economia (e le proprie relazioni internazionali) sugli idrocarburi, la possibilità di riprendere le estrazioni petrolifere veicola l’aspettativa di un miglioramento delle condizioni economiche interne e della possibilità di finanziamento delle necessarie opere infrastrutturali per un Paese ormai al collasso. Parallelamente apre prospettive di investimento estero, parzialmente congelato in questi anni a causa dell’instabilità interna. In questo senso, l’aumento dipenderà sia dalla capacità della Noc di mantenere attivi i pozzi sia dalla rimozione del blocco delle principali condutture che servono i settori occidentali di El Feel (Elephant Field) di proprietà ENI e Sharara, di proprietà della francese Total.
Il petrolio e la sua estrazione sono, però, anche uno dei principali terreni di scontro tra i due attori maggiormente rappresentativi della contesa politica e militare del Paese: il Governo di Fayez al Sarraj a Tripoli e il Governo (internazionalmente non riconosciuto) di Aquila Saleh a Tobruk. Più che con il Primo Ministro della Cirenaica, la contesa petrolifera si gioca, però, con Khalifa Haftar, generale del Libyan National Army (Lna), da molti anni ormai, punto di riferimento per Tobruk sia a livello nazionale sia in ambito internazionale. La vittoria di Haftar contro le Petroleum Facilities Guards (Pfg) guidate da Ibrahim Jadran a fine settembre e la consegna alla Noc dei terminal della mezzaluna petrolifera ha, infatti, messo in grande difficoltà il Governo di Tripoli, dimostratosi incapace sia di mantenere la sicurezza dei pozzi sia di impedire che altri ne prendessero il controllo. Alla luce di questo, non stupisce che, immediatamente dopo l’annuncio della vittoria a Sirte, si sia diffusa la notizia secondo la quale il ministro della Difesa del Governo di al Sarraj, Mahdi al Barghathi, avrebbe avviato un’operazione verso Ben Jawad nel tentativo di avvicinarsi alla Mezzaluna in cui sarebbero coinvolti alcuni appartenenti alle Pfg e gruppi di miliziani di Bengasi. Lo stesso Primo Ministro al Sarraj avrebbe, però, preso le distanze dall’operazione, mostrando come anche all’interno dei due schieramenti le tensioni latenti siano pronte ad esplodere.
Nonostante la vittoria di Sirte, il Governo di Accordo Nazionale (Gna) sembra, dunque, sempre più debole. Sul piano nazionale, alla fragilità del consenso interno di Tripoli, dove nelle scorse settimane si è assistito a numerosi scontri, si contrappone la solidità di Tobruk che, anche grazie ai proventi petroliferi, sta riuscendo a dare nuovo impulso all’economia della Cirenaica. In questo senso si leggano anche le parole dei delegati della Noc che hanno fermamente condannato i nuovi scontri vicino ai terminal petroliferi, dichiarando l’inizio dello stato d’emergenza per la tutela del personale impegnato nelle strutture. Guardando al piano internazionale, invece, è significativo vedere come tutte le forze stiano spingendo per un maggiore coinvolgimento di Tobruk. Così, mentre il Segretario di Stato statunitense John Kerry si è affrettato ad affermare che non ci sono piani di intervento militare in Libia perché l’obiettivo è quello di far sedere Haftar al tavolo delle trattative, il Generale libico è volato a Mosca per incontrare il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov e chiederne l’aiuto contro le forze islamiste presenti nel Paese.
La sconfitta dello Stato Islamico a Sirte anziché avere un effetto positivo sulla stabilità del Paese, sembra, dunque, aver privato i contendenti di un nemico comune contro cui lottare, aprendo ad una nuova fase di scontri per determinare chi guiderà il Paese, interloquendo con gli attori interni ed internazionali.
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra