La guerra fredda con la Repubblica islamica prosegue nelle strade e nelle aule dei tribunali. Ieri sono stati arrestati due uomini (“addestrati dagli iraniani”) responsabili di un attacco mortale lo scorso giugno. Rimandato ad inizio agosto il processo al noto militante dei diritti umani
della redazione
Roma, 13 luglio 2016, Nena News – Se non ancora sul campo, lo scontro a parole tra l’asse sunnita (rappresentanto dai paesi del Golfo) e quello sciita (capeggiato dall’Iran) è iniziato da tempo. Ieri sera il ministero degli interni bahrenita ha annunciato l’arresto di due uomini responsabili di un attacco bomba dello scorso giugno che ha provocato la morte di una donna e il ferimento dei suoi tre figli. Secondo Manama, i due (presunti) autori dell’attentato, insieme a un terzo che sarebbe riuscito a scappare, sono stati addestrati militarmente proprio dalla “nemica” Repubblica islamica e il fuggitivo avrebbe trovato protezione in Iran.
Saremmo di fronte in pratica, è il non detto delle autorità locali, di fronte all’ennesimo tentativo di attacco alla sicurezza del regno da parte degli “agenti” iraniani (si legga l’opposizione bahrenita) attivi nel piccolo arcipelago del Golfo. La tempistica con cui giunge questo attacco all’Iran non è casuale: si inserisce nel duro giro di vite lanciato dal regno contro i dissidenti considerati tout court pedine manovrate dagli iraniani per indebolire o addirittura far cadere re Hamad al-Khalifa.
Emblematici della repressione bahrenita sono i provvedimenti restrittivi stabiliti da Manama contro il detenuto politico Nabeel Rajab. A spegnare qualunque speranza di un suo immediato rilascio ci ha pensato ieri un tribunale bahrenita che ha rinviato il suo processo al 2 agosto e ha respinto la richiesta di liberazione firmata da 26 organizzazioni per i diritti umani.
L’arresto dell’attivista giungeva lo scorso giugno dopo la decisione del re Hamad (alleato di ferro di Stati Uniti, Gran Bretagna e Arabia saudita) di impedire la partecipazione di una delegazione bahranita alla 32esima sessione a Ginevra del Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani. E ha fatto seguito alla scelta fatta dalla giovane militante Zaynab al Khawaja di andare in esilio in Danimarca per evitare una pesante condanna per oltraggio alla monarchia e presunte “attività sovversive”.
Sempre a giugno è stato bandito al-Wefaaq (il principale partito d’opposizione) il cui leader, Shaykh Ali Salaman, ha visto recentemente la sua pena detentiva raddoppiata da 4 a 9 anni. E vittima dei provvedimenti repressivi locali è stato anche il noto religioso dissidente sciita, Shykh Isa Qassim, a cui Manama ha revocato la nazionalità. Di segno apparentemente opposto, invece, è stato il rilascio lunedì del Segretario Generale della Società d’azione nazionale democratica (Wa’ad), Ibrahim Sharif. Tuttavia, secondo quanto ha affermato l’Istituto del Bahrain per i diritti e la Democrazia (Bird), il leader progressista potrebbe essere a breve nuovamente arrestato qualora dovesse essere accolto l’appello presentato dal pubblico ministero che mira ad estendere la sua pena.
A giugno il Dipartimento di Stato statunitense ha espresso la sua “preoccupazione” per il recente giro di vite deciso da Manama e si è detto “allarmato” per le ultime disposizioni del governo. La scorsa settimana il parlamento europeo ha addirittura condannato la monarchia per la repressione dell’opposizione esortando le autorità locali a rilasciare i prigionieri detenuti “arbitrariamente” e a porre fine alla pratica della rimozione della cittadinanza utilizzata dal governo per silenziare il dissenso.
“Preoccupazioni”, quelle europee e statunitensi, che non produrranno sanzioni e boicottaggi da parte di Bruxelles e Washington. Dopo tutto Manama ospita la Quinta flotta degli Stati Uniti e a breve sarà pronta la base militare inglese (finanziata per lo più dal regno sunnita). Nena News