L’attivista dei diritti umani non potrà però uscire dal Paese finché il suo processo per i “tweet offensivi” non riprenderà il 20 gennaio
della redazione
Roma, 4 novembre 2014, Nena News - Domenica la corte penale di Manama ha rilasciato su cauzione il noto attivista bahreinita Nabeel Rajab. Tuttavia, gli ha impedito di uscire dal Paese finché il processo per i suoi Tweet giudicati offensivi nei confronti dello stato non riprenderà il 20 gennaio. Felice per la sua liberazione, l’attivista ha postato una fotografia sul suo account twitter in cui appare in una macchina sorridente mentre fa con le dita il segno di “V” di vittoria.
Lo scorso mese Rajab, direttore del Centro per i diritti umani del Golfo (GCHR) e cofondatore del Centro per i Diritti Umani nel Bahrein (BCHR), era stato interrogato dalle unità di polizia contro i crimini cibernetici. Secondo una lettera del GCHR, l’interrogatorio era durato 45 minuti e si era focalizzato su “i tweet postati sul suo account che denigravano le istituzioni governative”. Le accuse mosse contro Rajab hanno scatenato le ire dell’Ong Human Rights Watch che ha prontamente condannato l’arresto.
Le modalità del rilascio dell’attivista non hanno soddisfatto tutti. La vice direttrice di Amnesty Internation in Medio Oriente e Africa, Hassiba Hadj Sahrawi, ha infatti dichiarato domenica che “nell’accogliere con favore la liberazione su cauzione di Nabeel Rajab, [affermiamo anche che] non avrebbe dovuto essere mai detenuto”. Le autorità bahreinite stanno offuscando [la verità] mentre il futuro di un uomo resta sospeso”.
Intervistato da Russia Today due giorni fa, Rajab ha attaccato il governo del piccolo stato insulare: “gli attivisti dei diritti umani in questo Paese [Bahrein] sono il principale obiettivo del regime e delle sue istituzioni e sono obbligati a tacere. Molte persone sono dietro le sbarre oggi a causa di un tweet o per le loro critiche apparse sui giornali o in rete”. Secondo l’attivista sono circa 4.000 i prigionieri politici in Bahrein. “Noi [militanti] stiamo soffocando. Il regime non vuole che parliamo e critichiamo il governo per le sue violazioni dei diritti umani”. Consapevole delle difficoltà a cui andrà incontro, Rajab ha poi promesso: “la lotta deve continuare. Siamo sotto il governo della famiglia al-Khalifa da 200 anni. Giustizia, eguaglianza e democrazia non sono gratuite. Molte persone hanno sacrificato la loro vita negli anni e, se la paragono alla loro, la mia reclusione non è niente. Qualunque cosa accada, io non mi fermerò”.
Rajab, un “eroe” per molti bahreiniti, ha avuto un ruolo importante nelle dimostrazioni di massa del 2011 in cui migliaia di cittadini sono scese in strada per chiedere maggiori riforme al goveno. Imprigionato nel maggio del 2012 per aver partecipato a delle “proteste illegali”, era stato rilasciato due anni dopo. Ma se Rajab può esultare (almeno momentaneamente) altri continuano a restare in cella. Tra questi spicca il nome di Abdullah Hadi al-Khawaja. Ex presidente del Centro dei diritti umani del Bahrein, al-Khawaja ha ricevuto un ergastolo per “aver ordito un colpo di stato” contro la monarchia degli al-Khalifa. Lo scorso mese è stata arrestata sua figlia Zaynab perché avrebbe insultato il re Hamad strappando la sua immagine.
All’inizio di quest’anno il monarca, fedele alleato di Washington, aveva approvato una legge che punisce con la prigione fino a sette anni e a pagare una multa fino a 26.500 $ chiunque lo insulta pubblicamente. La morsa repressiva delle autorità locali non desta sdegno nelle cancellerie occidentali sempre in prima fila a condannare le violazioni dei diritti umani in Iran. Eppure il piccolo stato insulare vanta il (poco invidiabile) record di secondo paese tra gli stati arabi, Asia occidentale e il nord Africa ad avere il più alto tasso pro capite di detenuti per 100.000 abitanti. Nelle carceri anche 200 minori, alcuni dei quali – secondo i gruppi di diritti umani – hanno subito abusi sessuali e torture.
Come se non bastasse l’attacco agli attivisti, la scorsa settimana le autorità locali hanno impedito al principale blocco di opposizione al-Wefaaq di partecipare alle prossime parlamentari del 22 novembre bandendo le sue attività per tre mesi.
Dati inquietanti che in Occidente non fanno notizia né suscitano scalpore. Forse perché Manama ospita la Quinta Flotta della Marina militare statunitense e, nonostante sia a maggioranza sciita, rientra nell’asse anti-Iran? Nena News