Uno dei leader delle proteste del 2011 è stato condannato ieri per aver diffuso “false notizie e aver fatto dichiarazioni sulla situazione interna del regno”. I gruppi umanitari, però, denunciano: “E’ stato un processo farsa”
della redazione
Roma, 11 luglio 2017, Nena News – Due anni di carcere per l’attivista dei diritti umani bahrenita Nabeel Rajab. Secondo quanto riferisce l’agenzia ufficiale statale Nba, Rajab è stato condannato ieri da un tribunale di Manama per aver diffuso “false notizie e aver fatto dichiarazioni sulla situazione interna del regno che avrebbe minato il suo prestigio e il suo status”.
La sentenza – per cui è ammesso l’appello – è stata duramente criticata dall’Istituto del Bahrain per i diritti e la democrazia (Bird): l’attivista, sostiene l’organizzazione, è stato punito per “aver parlato con i giornalisti” e “ha già trascorso più di un anno in carcere, principalmente in isolamento”. In una nota, Bird ha anche fatto sapere che “gli avvocati di Rajab hanno detto che il loro assistito non ha ricevuto le garanzie basilari per un progetto giusto”. Accusa che le autorità giudiziarie respingono: il legale dell’imputato, affermano, è stato presente nel corso degli atti.
“Questa sentenza oltraggiosa contro qualcuno che ha detto la verità mostra la brutalità del governo bahrenita e i suoi odiosi crimini. Questo è stato un processo farsa” ha detto Sayed Ahmed al-Wadaei del Bird. Duro il commento anche di Amnesty International (AI) che ha parlato a riguardo di “campagna inarrestabile” da parte delle autorità locali per “spazzare via il dissenso”. “Imprigionare Nabeel Rajab soltanto perché ha espresso la sua opinione è una palese violazione dei diritti umani ed è un segnale allarmante perché vuole dire che le autorità locali andranno avanti con il silenziare qualunque critica” ha aggiunto il segretario generale di AI, Salil Shetty. “Il governo bahrenita e il suo apparato giudiziario hanno stretto la morsa sulla libertà d’espressione” ha accusato Shetty.
Preoccupazione per il suo arresto è stata espressa anche dal Dipartimento di stato americano. Tuttavia, gli Usa si tengono ben lontani dal criticare apertamente l’alleato del Golfo che ospita sul suo territorio la Quinta Flotta della marina statunitense. Un rapporto saldo quello tra Stati Uniti e il piccolo arcipelago arabo che il presidente Donald Trump ha definito “meraviglioso”. La sua amministrazione, inoltre, ha annunciato a inizio anno di voler vendere a Manama alcuni jet F-16 a prescindere dal rispetto dei diritti umani da parte delle autorità locali come aveva invece stabilito la precedente presidenza Obama.
Rajab è ricoverato in ospedale da aprile e non è stato presente durante le ultime 9 udienze. L’Istituto per i diritti umani bahranita ha detto che da giugno gli avvocati dell’imputato non presentavano in aula per protestare contro la decisione del tribunale di continuare il processo in assenza del loro assistito. L’Associated press scrive che anche alcuni osservatori diplomatici sono usciti fuori dalla corte a giugno a causa di queste procedure.
Rajab (52 anni) è stato più volte arrestato negli ultimi anni per aver preso parte a proteste “non autorizzate”. Rilasciato anzi tempo nel 2015 per motivi di salute, è stato nuovamente incarcerato nel giugno 2016. L’attivista, inoltre, è sotto processo per aver mandato una serie di tweet in cui criticava la campagna militare del blocco sunnita a guida saudita nello Yemen. Per questi “reati” dovrà presentarsi in aula il prossimo 7 agosto. Accusato di “aver insultato un organismo statale e aver insultato un paese vicino”, se trovato colpevole, rischia fino a 15 anni di prigione.
Il caso di Rajab ha attirato molto l’attenzione dell’opinione pubblica locale e internazionale perché l’attivista è stata una figura di primo piano nelle proteste di massa che nel 2011 hanno scosso il piccolo arcipelago. Anche qui infatti, come in gran parte del mondo arabo, decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro la monarchia sunnita (il Paese è però a maggioranza sciita). Di fronte al malcontento popolare, re Hamad ha usato il pugno di ferro sopprimendo ogni forma di dissenso anche grazie all’aiuto delle forze armate saudite ed emiratine.
Alla repressione nelle strade, Manama ha poi incominciato negli ultimi anni un attacco sistematico contro qualunque forma di dissenso. Il duro giro di vite della monarchia non ha risparmiato nessuno: né partiti e il principale quotidiano d’opposizione (al-Wasat è stato chiuso), né gli attivisti e il noto leader religioso Issa al-Qasim a cui è stata tolta la cittadinanza o hanno ricevuto lunghe pene detentive. La repressione ha prodotto alcuni attacchi armati contro le forze di polizia da parte di alcuni gruppi sciiti. Secondo Manama dietro le loro azioni, vi sarebbe la “nemica” Iran. Nena News