Il duro giro di vite contro attivisti e oppositori, intensificato da Manama nelle ultime settimane, continua nel silenzio della comunità internazionale: ieri è stato il turno del religioso sciita shaykh Qassim a cui è stata tolta la nazionalità. Riyad applaude al provvedimento, Tehran con il generale Soleimain attacca: “re Hamad pagherà un caro prezzo”
di Roberto Prinzi
Roma, 21 giugno 2016, Nena News – La repressione in Bahrain procede spedita. Dopo il duro giro di vite contro gli oppositori politici e dopo aver bandito il principale partito d’opposizione, ieri il governo di Manama ha deciso di togliere la nazionalità all’importante guida religiosa sciita Sheykh Isa Qassim. Secondo quanto riporta l’agenzia di stato, il ministro degli Interni ha accusato lo shaykh di aver giocato un ruolo cruciale nell’avere creato una “atmosfera settaria estremista” e nell’aver formato gruppi che “seguono ideologie religiose ed entità politiche straniere”. In una parola: l’Iran.
La decisione di Manama ha scatenato immediatamente la rabbia degli sciiti presenti nel Paese (la maggioranza, laddove la monarchia è sunnita): migliaia di sostenitori di Qassim si sono radunati fuori la sua abitazione nel villaggio a maggioranza sciita di Diraz intonando slogan religiosi e politici contro re Hamad al-Khalifa. Una protesta importante: da due anni così tante persone non scendevano in piazza per protestare contro la casa regnante. La tensione che si respira ormai da settimane in questo piccolo arcipelago situato sul golfo Persico potrebbe avere una escalation e degenerare in violenze. Di questo ne è convinto Sayed al-Wadaei, direttore dell’Istituto per i diritti umani e la Democrazia del Bahrein. Questo perché l’attacco agli sciiti deciso da Manama non ha solo dimensioni locali, ma ha portata regionale. Emblematiche, a tal riguardo, le posizioni dei due principali competitor dell’area: l’Arabia Saudita e l’Iran. Il consiglio religioso saudita – megafono dell’ideologia ultraconservatrice wahhabita sunnita che è ai ferri corti con lo sciismo, soprattutto iraniano – ha prontamente accolto con favore l’azione di Manama. Del resto non poteva essere diversamente: gli al-Khalifa, in definitiva, non sono altro che la longa manus di Riyad nel Paese.
Di tutt’altro avviso la risposta di Teheran. In una nota diffusa dall’agenzia di stato Isna, il ministero degli esteri iraniani ha condannato la decisione e ha esortato le autorità bahrenite ad “intraprendere un serio dialogo nazionale”. Durissima è stata la posizione del Generale Qassem Soleimaini, il capo delle Forze d’elite al-Quds della Guardia Rivoluzionaria. Secondo Soleimani, con tale provvedimento Manama avrebbe superato la”linea rossa”: “questa arroganza – ha detto – non lascerà altra scelta al popolo bahrenita se non quella della lotta armata. Il re Hamad sarà quello che ne pagherà il prezzo”. Dagli schermi di al-Manar, anche il libanese Hezbollah ha espresso la sua “indignazione” per il provvedimento che avrà “gravi conseguenze”.
Ma il ministero degli interni bahrenita si difende: shaykh Qassim ha sostenuto “la teoria della teocrazia” e ha usato i suoi sermoni “per appoggiare gli interessi stranieri danneggiando quelli supremi del suo Paese”. Ora per Qassim, membro del parlamento bahrenita negli anni ’70, si apre un destino incerto. Alcuni commentatori sostengono che potrebbe essere deportato. Ipotesi plausibile sebbene la stragrande maggioranza dei cittadini privati di cittadinanza siano rimasti nel piccolo arcipelago senza godere i benefici della nazionalità (tra cui cure sanitarie gratuite e pensioni). Di fatto sono considerati apolidi e sono privati di passaporto (con tutte le conseguenze negative che tale disposizione reca). L’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra’ad al-Hussein, ha detto che sono 250 i bahreniti a cui è stata revocata la nazionalità per presunto “tradimento” nei confronti del regno. Almeno cinque di questi sono stati deportati.
Il provvedimento contro Qassim segue due settimane di alta tensione nel Paese. La scorsa settimana era stato bandito al-Wefaaq (il principale partito d’opposizione) il cui leader, Shaykh Ali Salaman, ha visto recentemente la sua pena detentiva raddoppiata da 4 a 9 anni. Sempre la scorsa settimana le autorità locali hanno arrestato il noto attivista dei diritti umani Nabeel Rajab “reo” di aver criticato il governo. Pochi giorni prima, invece, era stato il turno della dissidente Zeinab al-Khawajah costretta ad andare in esilio in Danimarca perché minacciata di essere nuovamente arrestata per un periodo di tempo indefinito.
Di fronte a questo continuo attacco dei diritti umani, l’Europa sonnecchia, l’Inghilterra tace (sta costruendo una base navale nell’arcipelago grazie ai soldi della monarchia) e gli Usa distolgono lo sguardo. Ieri il Dipartimento di Stato statunitense ha espresso la sua “preoccupazione” per il recente giro di vite deciso da Manama e si è detto “allarmato” per l’ultima presa di posizione del governo. “Siamo preoccupati per la pratica del governo di revocare la nazionalità dei suoi cittadini in modo arbitrario” ha detto il portavoce John Kirby. “Ma soprattutto – ha aggiunto – siamo preoccupati perché le recenti azioni del governo devieranno i bahreniti dalla strada delle riforme e della riconciliazione”.
Preoccupazione sì, ma nessuna pressione politica perché le cose cambino: Manama ospita dopo tutto la Quinta flotta degli Stati Uniti. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir