La presa della città è un successo che si sta rivelando una minaccia alla campagna militare voluta dall’Arabia Saudita. Al Qaeda, Isis e altri gruppi armati contendono al governo di Hadi il controllo del Sud, mentre a Nord aumentano le incursione oltreconfine degli Houthi

La macchina del govenratore di Aden ucciso in un attentato rivendicato dall’Isis a dicembre 2015 – REUTERS/Nasser Awad
di Sonia Grieco
Roma, 10 febbraio 2016 2016, Nena News – Il 9 febbraio il distretto di Mansura, ad Aden, è stato teatro di scontri armati per le strade tra le truppe fedeli al presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi e miliziani jihadisti, mentre gli elicotteri Apache della coalizione a guida saudita fornivano la copertura aerea all’esercito governativo. L’obiettivo era stanare le decine di uomini armati, appartenenti sia ad Al Qaeda sia all’Isis, rintanati nel quartiere, hanno spiegato funzionari locali. Ma non è sempre chiaro chi combatte per le strade di Aden.
L’instabilità e il caos ad Aden, nel Sud dello Yemen, stanno trasformando quello che è considerato il maggiore successo della coalizione anti-Houthi in una minaccia alla sua campagna militare nel Paese, iniziata a fine marzo dell’anno scorso. A luglio i ribelli Ansarullah, comunemente conosciuti come Houthi, legati all’Iran e alleatisi con gli ex nemici del General People’s Congress dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, sono stati ricacciati dalla strategica città portuale, ma questo non ha significato stabilità e pieno controllo della zona. Negli ultimi sette mesi le violenze sono state continue ad Aden, dove la filiale yemenita di Al Qaeda (Aqap) e quella dell’Isis hanno approfittato della guerra civile per guadagnare terreno, e fanno sentire la propria presenza.
IL DOMINIO DI AL QAEDA AL SUD E GLI ATTENTATI DELL’ISIS
Aqap controlla diverse zone meridionali, città rilevanti, come Mukalla, e molti distretti di Aden. Inoltre, le sue bandiere nere sventolano su numerosi villaggi a est della città. Anche l’Isis è presente e il 28 gennaio scorso ha rivendicato un attentato con un’autobomba (sette morti) a un check point vicino al palazzo presidenziale dove risiede Hadi. Il presidente è tornato ad Aden (eletta capitale temporanea) a novembre, qualche mese dopo la cacciata degli Houthi che adesso occupano la capitale yemenita Sana’a e le aree settentrionali, ma non ne ha il pieno controllo e, a quanto pare, di rado si avventura fuori dal palazzo. Secondo testimonianze dei cittadini riportate dai media, le truppe della coalizione, formate in maggioranza da soldati degli Emirati Arabi Uniti, si vedono raramente per strada, restano nelle basi e nelle caserme. e in pochi sono fiduciosi che la situazione della sicurezza migliori.
Nel solo mese di dicembre sono stati uccisi il governatore di Aden (ha rivendicato l’Isis), tornato dall’esilio saudita a settembre; un capo militare del movimento secessionista del Sud, che continua ad anelare l’indipendenza dal Nord (un ritorno allo status pre-1990); il leader di una milizia che combatte al fianco delle truppe governative. Gli assassini di politici, poliziotti, ufficiali, giudici sono all’ordine del giorno. E la popolazione vive nella paura, vittima delle continue violenze e delle minacce di diversi gruppi armati (ce ne sono altri, oltre alle milizie di Aqap e dell’Isis) e dei raid della coalizione, accusata da diverse organizzazioni internazionali di crimini di guerra.
La situazione non può restare così, ha spiegato alla Reuters il generale di brigata Ahmed Asseri, portavoce della coalizione anti-Houthi: “Ci ritroveremo come in Libia, in una situazione caotica. Penso che dobbiamo finire quello che abbiamo iniziato, ristabilendo sicurezza e stabilità in Yemen”. Il ragionamento è riferito alla situazione generale del conflitto, in stallo da mesi. Ma per quanto riguarda Aden, Asseri ha detto che dietro gli attacchi rivendicati dall’Isis in realtà ci sono Saleh e i suoi fedeli che vogliono far sembrare il governo incapace di governare il Paese. E in effetti il governo riconosciuto dalla cosiddetta comunità internazionale non ha il pieno controllo delle zone riconquistate ai ribelli Houthi, nonostante il massiccio impegno bellico della coalizione guidata da Riad che sul terreno yemenita si sta confrontando a distanza con Teheran e rischia di perderci la faccia. Non solo con gli Ayatollah, ma anche con i sudditi meno entusiasti di dieci mesi fa dell’intervento militare che sta drenando fiumi di denaro dalle casse del regno e miete decine di vittime tra i soldati di re Salman.
STABILIZZARE ADEN PER DIMOSTRARE L’EFFICACIA DELL’INTERVENTO
Secondo gli analisti, Aden è una priorità, non solo perché si affaccia sullo strategico golfo omonimo e per il contrasto al terrorismo di stampo jihadista: stabilizzarla mostrerebbe l’efficacia della campagna militare. L’impresa, però, non è semplice. Il braccio yemenita di Al Qaeda è ben radicato al Sud dopo anni di presenza nel Paese, sostanzialmente risparmiato dai raid della coalizione e per niente fiaccato dai droni americani che continuano ad entrare in azione nei cieli yemeniti. E anche la filiale yemenita dell’Isis si sta facendo largo. Inoltre, nel caos proliferano anche altri gruppi armati.
LA PRESSIONE DEGLI HOUTHI AI CONFINI
Intanto, i principali nemici contro cui Riad è scesa in campo, gli Houthi, che hanno stretto un’alleanza di convenienza con Saleh, hanno alzato il tiro, attaccando l’Arabia Saudita direttamente in casa propria con sempre più frequenti incursioni oltreconfine. Negli ultimi giorni, l’antiaerea ha riferito di avere intercettato due missili balistici sulle regioni sud-occidentali del regno di Jazan e di Asir. A Sud, invece, i ribelli tengono d’assedio da tre mesi la città yemenita di Taiz, bloccando l’accesso di viveri e farmaci, ha denunciato Amnesty International che accusa gli Houthi e i loro alleati di gravi violazioni del diritto internazionale.
AL NEGOZIATO SI PREFERISCE LA GUERRA. E LO YEMEN SI DISGREGA
In Yemen l’emergenza umanitaria di aggrava di giorno in giorno, con violazioni e crimini commessi da tutti i belligeranti, foraggiati dalle potenze straniere. Il conflitto è in stallo e l’impegno nei negoziati di pace è quanto meno tiepido. Dopo quasi un anno di guerra, nessuno dei contendenti è vicino alla vittoria, ma neanche alla sconfitta, fa notare un’analisi dell’International Crisis Group, e di conseguenza c’è scarsa disponibilità al compromesso: tutti pensano di poter guadagnare terreno sul campo di battaglia. Il Paese che sembra diviso in due zone, quella nord-occidentale sotto il controllo degli Houthi e degli uomini di Saleh, e quella sud-orientale nella mani della coalizione che sostiene Hadi, in realtà si sta disgregando. Il vuoto di potere è colmato da Aqap, dall’Isis, dai separatisti del Sud e dalle milizie tribali e dai gruppi armati. Il settarismo sta prendendo piede in un conflitto in cui sono in ballo gli interessi strategici di potenze regionali e internazionali (Stati Uniti, Gran Bretagna, Iran, ad esempio) e che minaccia la stabilità del Golfo.
Durante il recente incontro con il segretario di Stato Usa, John Kerry, il ministro saudita degli Esteri, Adel Jubeir, oltre ad offrire le truppe del regno per la Siria (altro e fondamentale tassello della politica estera dei Saud), ha parlato della possibilità di una ripresa del negoziato nelle prossime settimane per la soluzione del conflitto in Yemen. Nessun impegno, solo la “speranza” di poter “forse riprendere un dialogo produttivo”. Per lo Yemen la strada è ancora lunga. Nena News
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