Stanno votando in queste ore le province amministrate da Erbil, 5,2 milioni di persone, residenti anche nelle zone contese, da Mosul a Kirkuk. L’Iran chiude lo spazio aereo, la Turchia estende il mandato per il dispiegamento delle truppe
AGGIORNAMENTI
ore 19.00 – SEGGI CHIUSI, AFFLUENZA INTORNO ALL’80%
Si sono chiusi alle 18 italiane i seggi nel Kurdistan iracheno, un’ora dopo del previsto su decisione della Commissione elettorale e a causa delle lunghe file ai seggi. I primi dati parlano di un’affluenza tra il 78% e l’80%, con il picco della yazidi Sinjar (92%). A Erbil ha votato l’84% degli aventi diritto, a Duhok il 90%. Alta, oltre le previsioni, l’affluenza nella contesa Kirkuk: 80%. Più bassa nella vicina comunità di Tuz Khurmatu (67%) da anni terreno di scontro militare tra peshmerga e milizie sciite.
La Commissione ha annunciato l’immediato inizio delle operazioni di spoglio e la pubblicazione dei risultati preliminari entro 24 ore.
ore 16.30 – PARLAMENTO BAGHDAD: DISPIEGARE LE TRUPPE A KIRKUK
Il parlamento iracheno ha votato a favore della richiesta al governo di dispiegare le truppe nelle aree contese con il Kurdistan iracheno, a partire da Kirkuk: “Il parlamento chiede al capo dell’esercito [il primo ministro al-Abadi, ndr] di dispiegare le truppe in tutte le zone di cui la Regione autonoma del Kurdistan ha assunto il controllo dopo il 2003″. La costituzione irachena prevede che il primo ministro obbedisca alla richiesta del parlamento.
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della redazione
Roma, 25 settembre 2017, Nena News – Il giorno del voto è arrivato: il referedum per l’indipenza del Kurdistan iracheno dall’Iraq, spauracchio più volte sventolato dal leader Barzani, è realtà. A nulla sono servite le minacce e le richieste di tanti attori internazionali che ruotano intorno alla questione: le urne si sono aperte stamattina nelle province settentrionali irachene, controllate dal Governo Regionale del Kurdistan (Krg), un totale di 5,2 milioni di persone.
Circa 1,2 milioni nella capitale Erbil, 1,3 a Suleymaniya, 750mila a Kirkuk (la zona più calda, ricchissima di petrolio e, dopo l’occupazione di Daesh e la successiva liberazione per mano dei peshmerga, controllata dal Krg), 800mila a Dohuk, 750mila nel distretto di Mosul (la yazidi Sinjar, Makhmur, Seyhan, Hamdaniya e Tal Keyf) e altre 400mila nei distretti confinanti, in molti casi contesi con il governo centrale di Baghdad.
La tensione è palpabile e passa per le parole, poco concilianti del presidente Barzani, uno dei primi a recarsi al voto questa mattina. Lo stesso che, dopo aver ribadito agli alleati che l’eventuale vittoria del sì avrebbe aperto a nuovi negoziati con il governo centrale e non all’indipendenza immediata, ieri ha chiuso le porte a Baghdad: non importa quanto il processo durerà, ha detto in conferenza stampa, “non torneremo ad una partnership fallimentare”. L’Iraq è uno “Stato settario e teocratico” da cui uscire, ha detto: “Solo l’indipendenza può risarcire le madri dei nostri martiri, solo attraverso l’indipendenza possiamo tutelare il nostro futuro”.
Un colpo al cerchio e uno alla botte: il voto – che sarà consultivo – aprirà “un lungo processo negoziale, ma nessun conflitto armato con l’Iraq”, ma – ha sottolineato Barzani – “non torneremo mai a Baghdad per rinegoziare una partnership già fallita in passato”. Insomma la secessione potrebbe realizzarsi non prima di due anni, come detto alla folla che venerdì aveva riempito lo stadio di Erbil per il comizio finale di Barzani.
Per questo oggi è festa nazionale: per decisione del Krg scuole, uffici e negozi chiusi per permettere a tutti di votare. La strada tra Erbil e Mosul è stata già chiusa dai peshmerga e lo resterà fino a urne chiuse. E da stamattina è indetto lo stato d’allerta in tutta la regione: unità di peshmerga hanno istallato checkpoint dentro le città e nelle vie di collegamento.
Secondo al Jazeera, le misure di sicurezza sono state prese in particolare Kirkuk dove la presenza di molti arabi fa temere scontri durante il voto. Le tribù arabe della provincia di Ninive hanno nei giorni scorsi aderito al referendum, invitando al voto, ma non tutti i cittadini di etnia araba – che stanno subendo a Kirkuk una “kurdizzazione” di reazione, dopo l’arabizzazione forzata voluta da Saddam Hussein negli anni ’80 – hanno accettato l’idea dell’indipendenza da Baghdad.
La risposta del premier iracheno al Abadi è identica a quella espressa nelle settimane passate e ribadita dalla Corte Suprema che sette giorni fa aveva sospeso il referendum, chiedendo di rinviarlo per poter esaminare tutti i reclami di incostituzionalità presentati: Baghdad resta contraria al voto, ha detto il primo ministro, “in quanto incostituzionale, prenderemo le misure legali necessarie a garantire la sicurezza e l’unità nazionale”.
L’ennesimo conflitto interno ad uno Stato fallito e che potrebbe far esplodere le tensioni latenti – ma neanche troppo – con i potenti vicini. Uno di questi, l’Iran, ieri ha chiuso lo spazio aereo ai voli provenienti dal Kurdistan iracheno su richiesta di Baghdad e sospeso i voli diretti a Erbil e Suleymaniya. Un embargo aereo che è la prima vera misura assunta finora da Teheran, concretissima visto il volume di traffico commerciale tra i due: 4 miliardi di scambi commerciali l’anno.
Nelle stesse ore cominciavano esercitazioni militari proprio al confine tra il territorio iraniano e quello del Krg, una dimostrazione di forza palese: lungo la frontiera sono caduti ieri colpi di mortaio. Il giorno precedente, sabato, il parlamento turco ha esteso il mandato per il dispiegamento di truppe in Iraq e Siria. Nena News