Il voto referendario è fissato per il prossimo fine settimana. L’opposizione delle forze internazionali potrebbe però portare ad un rinvio o alla cancellazione
di Francesca La Bella
Roma, 19 settembre 2017, Nena News – Il 25 settembre dovrebbe tenersi il referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno. Una data cruciale non solo per la regione curda dell’Iraq, autonoma ormai da molti anni, ma per tutta l’area mediorientale. Le incognite sono numerose e le pressioni internazionali potrebbero portare ad una posticipazione dello stesso se non alla vera e propria cancellazione con conseguenze significative su tutti gli attori coinvolti.
Le prese di posizione contrarie al referendum provengono, infatti, dall’intero arco dei protagonisti internazionali coinvolti nell’area. Non stupisce sicuramente leggere come il Presidente turco Recep Tayyp Erdogan abbia fortemente condannato un’iniziativa considerata unilaterale e dannosa per il destino dell’Iraq. Sventolando lo spettro dello Stato Islamico, il Presidente turco ha, infatti, stigmatizzato la decisione curdo-irachena, giudicata irresponsabile, ed ha offerto al Governo di Baghdad di avviare un dialogo per trovare una soluzione alla questione che permetta il mantenimento dell’integrità irachena.
Nonostante i legami solidi tra KRG e Turchia e le ben più fredde relazioni tra Baghdad ed Ankara, il pericolo di uno Stato indipendente a maggioranza curda nell’area, ha indotto Erdogan ed il Primo Ministro Binali Yildirim a modificare repentinamente le proprie alleanze. L’eventuale vittoria del SI al referendum porrebbe, infatti, la questione del destino delle comunità presenti negli altri Paesi dell’area e della creazione di un Grande Kurdistan indipendente.
Per quanto quest’ultima opzione sia attualmente molto lontana dai desideri degli stessi curdi, divisi sia da linee di confine tra Stati sia da linee di demarcazione profonde tra diverse posizioni politiche, il potere contrattuale dei diversi gruppi curdi nei confronti degli Stati nazionali in cui sono inseriti potrebbe crescere enormemente saldando nuove alleanze intra-curde ed aprendo a prospettive di federazione inter-statuale.
Allo stesso modo risulta in linea con la politica di chiusura adottata in questi anni, la scelta della Corte Suprema irachena di chiedere la sospensione del referendum a causa della possibile incostituzionalità dello stesso. Per Baghdad accettare l’indipendenza curda non significherebbe solo perdere una parte del proprio territorio, oltretutto particolarmente ricco di risorse naturali, ma anche fare i conti con questioni irrisolte come lo status di Kirkuk e Mosul e aprire la strada alle richieste di autonomia e indipendenza di altre comunità etniche.
Da questo punto di vista la debolezza di Baghdad, figlia sia della prolungata ed estenuante lotta contro lo Stato Islamico, sia dell’incapacità dello stato centrale iracheno di consolidare un’unità nazionale basata su principi di equità e giustizia, potrebbe portare ad una definitiva frantumazione del Paese su linee etniche con i curdi al nord, le comunità sunnite nell’area centro-occidentale e gli sciiti nel sud-est. Regioni che, deboli e segnate da lunghi anni di guerra e iper-sfruttamento del territorio, si ritroverebbero a diventare satelliti, e in molti casi zavorra, di altri Paesi dell’area.
La questione è, dunque, particolarmente complessa e coinvolge, seppur apparentemente in misura minore, anche gli altri due protagonisti della regione: Siria ed Iran. La presenza di comunità curde che rivendicano margini di autonomia sul territorio nazionale, la condivisione di un confine, l’orientale per l’Iran e l’occidentale per la Siria, con un Iraq sull’orlo della disgregazione sono fattori di disequilibrio di notevole portata che hanno indotto i due Paesi a schierarsi contro il referendum.
Davanti ad un’escalation bellica che non sembra avere fine e in una fase di ridefinizione degli equilibri mediorientali, il timore del potenziale di instabilità di un’eventuale indipendenza curda ha, infatti, indotto entrambi ad una ferma presa di distanze dalle scelte del KRG.
Se leggiamo le scelte dei due Paesi nell’ottica di un mutamento delle tradizionali alleanze d’area non stupisce nemmeno che, mentre il fronte d’area si compatta nella sua opposizione al referendum, Benjamin Netanyahu scenda in campo al fianco del Kurdistan iracheno. La scelta israeliana, diretta conseguenza di una lunga amicizia con il KRG consolidatasi grazie a petrolio e ingenti flussi di denaro, è, infatti, da considerare funzionale ad una più ampia prospettiva internazionale. Il possibile indebolimento della Turchia così come di Siria e Iran a favore di partiti liberali e fedeli alleati di Israele come il PDK, ben diverso dal PKK turco, definito come “terrorista” dallo stesso Premier israeliano, non può che risultare gradito a Tel Aviv nell’ottica di un avanzamento del proprio potere regionale. Sotto questa luce risulta coerente anche la scelta degli stessi Stati Uniti che, primo alleato del Governo Regionale curdo iracheno dalla caduta di Saddam Hussein, chiedono all’attuale Presidente Barzani di rinviare il referendum, di avviare negoziati con Baghdad e di non porsi in una pericolosa posizione di rottura.
Interessante è, infine, evidenziare come le altre componenti curde si siano approcciate alla questione referendum. Se PUK e Gorran in Iraq, dopo alcune iniziali resistenze e nonostante l’incolmabile distanza con il partito di Governo, hanno deciso di appoggiare il referendum, la reazione di PYD siriano e PKK turco sono state più ambivalenti. “Il referendum è un diritto democratico” sono state le parole con cui Cemil Bayik, membro dell’esecutivo del KCK, Consiglio delle Comunità Kurde, ha posto fine alla diatriba sulla legittimità del referendum stesso per il popolo curdo. Una presa di posizione netta che, nel bisogno di essere ribadita, trova la sua stessa fragilità.
L’idea alla base di questo referendum può, solo parzialmente, conciliarsi con il grande progetto di confederalismo democratico propagandato dal PKK e dai suoi alleati. In questo senso l’indipendenza del KRG viene considerata più un’occasione per disarticolare il contesto d’area che non un obiettivo politico a cui tendere per il futuro dei territori a maggioranza curda. Nena News