Inauguriamo oggi una nuova rubrica che si concentrerà sui rapporti tra i Balcani e il Medio Oriente. In questa prima puntata parleremo della visita di domenica del presidente turco nella capitale bosniaca: un vero spot propagandistico per il “Sultano” dai toni tutt’altro che accomodanti nei confronti dell’Unione europea
di Marco Siragusa
Roma, 23 maggio 2018, Nena News – Domenica scorsa il presidente turco Erdogan si è recato a Sarajevo per un comizio elettorale in vista delle elezioni che si svolgeranno in Turchia il 24 giugno. Ufficialmente l’appuntamento aveva come obiettivo quello di captare il voto dei cittadini turchi residenti all’estero, non solo in Bosnia ma in tutta Europa, rimarcando una comune appartenenza. L’evento si è però trasformato, come era prevedibile, in un vero e proprio spot propagandistico dalle forti tinte nazionaliste e dai toni tutt’altro che accomodanti nei confronti dell’Unione europea e delle sue politiche nella regione.
La scelta di iniziare il suo viaggio oltreconfine proprio in Bosnia non è affatto casuale e mostra chiaramente la strategia politica turca per i Balcani. Dopo il rifiuto ricevuto lo scorso anno da Germania, Austria e Olanda, per lo svolgimento di comizi elettorali riguardanti il referendum costituzionale, Erdogan ha deciso di ripartire da un paese considerato “amico” non solo per l’importante presenza della comunità turca e la comune appartenenza religiosa con la popolazione bosniaca, ma anche e soprattutto per l’importanza strategica che gioca oggi la Bosnia nei rapporti con l’UE e la lunga tradizione storica che lega i due paesi più volte ripresa durante il suo discorso. A riguardo Erdogan ha voluto ringraziare la Bosnia per l’opportunità di poter svolgere il raduno affermando che “i paesi europei che si definiscono la culla della democrazia hanno fallito, ma i bosniaci sono stati i veri democratici».
Oltre alla ricerca del consenso tra i “turchi d’Europa”, dato quasi per scontato, la visita del “Sultano” (così è stato acclamato dalla folla presente al raduno) ha avuto come obiettivo quello di mostrare all’Europa e a tutta la comunità internazionale l’enorme influenza che Ankara può esercitare nei confronti di una regione ancora politicamente ed economicamente instabile alle porte del vecchio continente. Nel suo discorso Erdogan ha riscaldato la folla con una retorica fortemente nazionalista tesa a rimarcare l’incrollabile legame storico, culturale, linguistico e religioso con la madre patria indicando inoltre come necessaria la partecipazione dei turchi alla vita politica dei paesi in cui vivono per limitare la propaganda anti-turca.
Non sono mancati i riferimenti ad un passato glorioso in cui gli ottomani governavano la regione, con la promessa di proteggere “i turchi che vivono in Europa come i nostri occhi». Il passato ottomano, agitato per stimolare un comune senso di appartenenza contrapposto alle spinte europeiste diffuse in tutta la regione, è stato inoltre accompagnato da un intelligente rimando anche alla tradizione jugoslava nel tentativo di raccogliere consensi anche tra i nostalgici.
Il riferimento ad una reale “amicizia e fratellanza”, che caratterizza oggi le relazioni tra Bosnia e Turchia, sembra infatti rimandare indirettamente al sentimento di “fratellanza e unità” tipico della Jugoslavia socialista. Certamente l’intento di Erdogan non è quello di riabilitare il passato socialista, ma di dimostrare come nonostante le diverse vie percorse nell’ultimo secolo non sia mai stato definitivamente tagliato il cordone ombelicale con la Turchia.
Il presidente turco ha inoltre tenuto a sottolineare come il suo paese stia sostenendo la stabilità economica della Bosnia, un paese in profonda crisi anche politica, attraverso investimenti infrastrutturali come l’autostrada Belgrado-Sarajevo dal costo complessivo di circa 3 miliardi di euro e la promessa di ulteriori futuri investimenti nel settore dei trasporti. Anche in questo caso non sono mancate le critiche all’Ue incapace di garantire la stabilità politica del paese ad oltre vent’anni dagli Accordi di Dayton. Il suo aperto sostegno al Presidente Izetbegovic e alla possibile candidatura della moglie Sebija alle prossime elezioni presidenziali si contrappone infatti ai fragili tentativi dell’UE di superare gli scontri interni tra le varie componenti bosniache e giungere ad una normalizzazione dei rapporti con la vicina Serbia.
A questo va inoltre aggiunta l’attenzione posta alla diffusione di istituzioni culturali e accademiche che rafforzino i legami tra i due paesi, soprattutto nell’ottica di limitare l’egemonia del movimento guidato da Gulen che nei Balcani, che può rivendicare il finanziamento o il controllo più o meno diretto di oltre 40 centri culturali e istituzioni accademiche. L’International University of Sarajevo, la cui costruzione è stata finanziata direttamente dal governo turco, ha infatti premiato Erdogan con un dottorato honoris causa. Nella pagina Facebook dell’università la cerimonia è stata presentata con toni trionfalistici in cui si ringraziava Erdogan “per il suo contributo alla costruzione di una società più umana, alla promozione della dignità e alla cultura del dialogo in Europa e nel mondo. Con questo riconoscimento, la fondazione per lo sviluppo dell’istruzione Sarajevo (sedef) e l’università internazionale di Sarajevo hanno confermato ancora una volta i legami storici, sociali, culturali e politici dei nostri due paesi”.
Al di là dell’entusiasmo suscitato dalla visita del presidente turco non sono mancati episodi di chiara censura politica come il rifiuto da parte dell’Ambasciata turca di accreditare i giornalisti appartenenti all’Unione dei Democratici Turchi Europei Democratici e all’Unione dei Democratici dei Balcani Europei considerati ostili al governo di Erdogan.
Il tentativo politico di Ankara è chiaro: influenzare le dinamiche politiche ed economiche in Bosnia come nel resto dei Balcani abitati da una maggioranza musulmana e di origine turche, rallentare il processo di integrazione europea che coinvolge tutti i paesi della regione sfruttando le evidenti debolezze europee nella gestione di tale processo e infine allargare la propria sfera d’influenza ripercorrendo la tradizione ottomana.
È possibile ipotizzare che in futuro le attenzioni turche nella regione si facciano sempre più pressanti, soprattutto se l’Europa dovesse continuare a mostrarsi incapace di garantire un’accelerazione nel processo di adesione. Il summit tra l’Ue e i paesi dei Balcani occidentali tenutosi a Sofia il 17 maggio scorso non è riuscito infatti ad ottenere risultati concreti, limitandosi a ribadire concetti generali sul futuro europeo della regione. Il fatto stesso che non siano stati trattati temi riguardanti l’allargamento e il processo di stabilizzazione e di associazione dei Balcani occidentali dimostra tutta la debolezza e le difficoltà europee nelle relazioni con i paesi dell’area.
Cosciente di ciò, la Turchia appare quindi interessata a sfruttare al meglio questa situazione di incertezza per incidere sempre più direttamente nella politica interna ed estera dei Balcani Occidentali. Nena News