Lo scorso 3 marzo, alla vigilia del primo caso di Covid-19, il parlamento sloveno ha votato la fiducia al nuovo governo guidato da Janez Janša. Le manifestazioni sono subito seguite, prima dai terrazzi e poi nelle piazze, contro casi di corruzione e leggi liberticide
di Marco Siragusa
Roma, 25 maggio 2020, Nena News – L’attuale governo sloveno guidato dal premier Janez Janša, nominato il 3 marzo scorso, può vantare alcuni primati: esser entrato in carica contemporaneamente alla diffusione del coronavirus, esser stato il primo governo a dichiarare la fine dell’epidemia ed essere il governo più contestato d’Europa, almeno nelle piazze.
Nonostante le misure restrittive, sin da subito la popolazione ha iniziato a contestare il nuovo esecutivo. Il 24 marzo diverse candele sono state accese davanti la sede del Parlamento come forma di solidarietà verso i medici e chi versa in serie difficoltà economiche. Come accaduto in altri paesi, il divieto di assembramento ha inizialmente costretto la popolazione a protestare in maniera rumorosa dai propri balconi.
A partire dal 24 aprile, con il primo allentamento del lockdown, la contestazione si è immediatamente spostata nelle piazze. Per aggirare le norme che prevedono il divieto di assembramento ma non l’attività motoria, le manifestazioni, convocate per ogni venerdì alle 19 da circa 25 organizzazioni della società civile, si svolgono in bicicletta. Da qui lo slogan “Dai balconi alle biciclette”.
Nell’evento Facebook creato per convocare la piazza si legge una dura critica al governo che «con il pretesto di combattere il virus, sta introducendo uno stato di emergenza e limitando le libertà». Nell’ultimo mese le proteste si sono diffuse a macchia d’olio. Se ai primi cortei in bicicletta partecipavano circa 3.500 persone, adesso i manifestanti sono circa 10mila nella sola capitale Ljubljana e diverse centinaia nelle altre città del paese.
Le cause e i rapporti con l’opposizione
Il motivo scatenante non è stata tanto la decisione, adottata il 21 marzo, di imporre il lockdown quanto le accuse di corruzione e alcune scelte politiche adottate dal governo.
A metà aprile, il ministro dell’Economia Zdravko Počivalšek avrebbe fatto pressioni in favore di un’azienda per l’acquisto di ventilatori polmonari e mascherine per circa 8 milioni di euro. Come raccontato a Nena News da Aljaž Pengov Bitenc, analista politico e blogger noto anche come Pengovsky, a questo scandalo si sono aggiunte alcune misure che hanno dato la sensazione che il governo volesse sfruttare l’epidemia per una stretta autoritaria.
Nonostante la diffusione del virus non fosse così grave (ad oggi circa 1500 casi) il governo ha provato ad concentrare su di sé molti poteri. Il 2 aprile l’esecutivo aveva proposto l’attivazione dell’articolo 37 bis della legge sulla difesa che permette l’utilizzo dell’esercito per il pattugliamento dei confini. La proposta non ha però ottenuto la maggioranza necessaria dei 2/3 dei voti della commissione parlamentare di difesa. Il 20 aprile la Corte Costituzionale ha bocciato un decreto che ampliava “a tempo indeterminato” i poteri del governo e le misure restrittive adottate, evitando così uno “scenario ungherese”.
Come se non bastasse Janša e i suoi collaboratori si sono resi protagonisti di duri attacchi verso giornalisti e media non allineati, grazie anche al forte controllo esercitato sulle televisioni.
Altra decisione che ha alimentato il malcontento è stata la presentazione di un emendamento al Nature Conservation Act che limita la partecipazione delle organizzazioni non governative alle procedure di autorizzazione dei progetti infrastrutturali. Fino a oggi infatti a ong e gruppi ambientalisti era riconosciuta la partecipazione all’iter burocratico in nome di un interesse pubblico nella protezione della natura.
Per quanto riguarda il rapporto con i partiti, il movimento rivendica la propria autonomia rispetto a qualsiasi schieramento e leader politico mostrando un certo scetticismo anche verso i partiti di opposizione. Pur nel rispetto di questa autonomia, non manca il sostegno attivo di alcuni partiti. Come confermato da un membro di Levica (Sinistra), contattato telefonicamente da Nena News, «il partito appoggia ufficialmente la protesta e i suoi membri partecipano alle manifestazioni senza simboli».
A livello parlamentare, dopo la rottura della coalizione di centro-sinistra che ha guidato il paese fino a gennaio, l’opposizione ha deciso di dar vita a un patto non scritto di non belligeranza e di ricompattarsi contro l’azione del governo.
Secondo un sondaggio pubblicato dall’agenzia Valicon il 14 maggio, il 61% della popolazione condivide i motivi delle proteste e il 54% ritiene l’utilizzo delle biciclette un’appropriata forma di protesta.
Chi è Janez Janša?
Janša iniziò la sua carriera negli anni Ottanta come membro della Lega dei Comunisti slovena. Il 30 maggio 1988, ormai in aperto contrasto con l’apparato jugoslavo, venne arrestato con altri tre giornalisti della rivista Mladina con l’accusa di aver pubblicato documenti contenenti segreti militari. Il processo alimentò un clima già teso dando avvio alla cosiddetta Primavera Slovena che, nel 1991, portò all’indipendenza del paese.
Nella Slovenia post-comunista Janša ricoprì il ruolo di ministro della Difesa (1990-94). Nei dieci anni successivi cominciò a concretizzarsi quella che Aljaž Pengov Bitenc identifica come la “transizione dall’area non comunista di centrosinistra all’estrema destra”. Nel 2004, anno dell’adesione slovena all’UE, vinse le elezioni diventando primo ministro. Carica che ricoprì nuovamente tra il 2012 e il 2013 quando, a seguito del coinvolgimento in un grave caso di corruzione e alla mobilitazione popolare, fu costretto alle dimissioni prima di essere arrestato e incarcerato per sei mesi.
Ma come la fenice rinasce dalle sue ceneri, così Janez Janša è riuscito a riconquistare il suo peso politico. Nonostante la vittoria elettorale nel giugno 2018, alla guida del Partito Democratico Sloveno (SDS), i numeri risicati non gli permisero di formare un governo. L’impresa riuscì a Marjan Šarec che, grazie al supporto esterno dei nove deputati di Levica e dei due delle minoranze linguistiche, diede vita ad un governo di minoranza con appena 45 deputati su 90. A causa delle difficoltà interne alla coalizione, lo scorso 27 gennaio lo stesso premier ha rassegnato le dimissioni riconoscendo l’impossibilità di «attuare riforme radicali e strutturali».
Al secondo tentativo, Janša è riuscito così a formare una più stabile maggioranza cui partecipano anche due ex alleati di Šarec: il Partito del Centro Moderno, di tradizione liberale, e il Partito dei Pensionati, al governo con qualsiasi schieramento da ormai 14 anni.
A livello internazionale Janša può vantare una ben poco invidiabile amicizia con il premier ungherese Viktor Orban di cui condivide i toni euroscettici e anti migranti. È ormai storia nota la partecipazione, in qualità di azionisti di maggioranza, di uomini vicini a Orban in Nova24 Tv, vero e proprio organo d’informazione dell’SDS di Janša, e in Nova Obzorja, editrice del famoso settimanale Demokracija.
Malgrado i tentativi, Janša non è riuscito ad ottenere i “pieni poteri”. Questo anche grazie alla tenace opposizione di buona parte della popolazione che, nel rispetto delle regole ma senza farsi intimidire dalle misure restrittive, sembra voler rendere la vita difficile al governo. Con l’arrivo dell’estate è possibile che la partecipazione alle manifestazioni cali. Il vero banco di prova sarà la crisi economica che si prospetta nella seconda parte dell’anno. Nena News
Pingback: SLOVENIA: L'autunno caldo delle piazze - East Journal