I tre giganti petroliferi mondiali parteciperanno all’espansione del 30% della produzione di gas di Doha. Fallisce la mediazione del Kuwait
di Chiara Cruciati
Roma, 7 luglio 2017, Nena News – Nel mezzo della crisi del Golfo, mentre fallisce la mediazione del Kuwait, c’è chi corre in soccorso del Qatar e delle sue ricchezze energetiche. Tre tra le più grandi compagnie petrolifere del mondo sono scese in campo per ampliare del 30% la produzione di gas di Doha: Shell, Total e Exxon – tramite gli amministratori delegati – hanno incontrato l’emiro Sheikh Tamim bin Hamad al Thani nella capitale qatariota.
Al leader di Doha i tre hanno espresso la volontà di sostenere le attività della petromonarchia di espansione del 30% dell’estrazione di gas liquido (di cui il Qatar è già il primo produttore mondiale), un piano annunciato lo scorso martedì: un aumento di 100 milioni di tonnellate di gas l’anno nei prossimi 5-7 anni che richiede investimenti consistenti in termini di terminal di liquefazione e allargamento delle infrastrutture.
La notizia, riportata dalla Reuters, non ha trovato conferme ufficiali dagli uffici stampa delle tre società, che ufficialmente si mantengono neutrali nella crisi esplosa all’inizio di giugno tra il Qatar e il resto del fronte sunnita, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrain e Egitto. Una scelta, quella della neutralità, dettata dall’imenso giro d’affari che Shell, Total e Exxon hanno nel Golfo con tutti gli attori interessati, sebbene – vale la pena ricordare – il 14 giugno, quindi a crisi già iniziata l’ad di Shell, Ben van Beurden, ha fatto visita al Qatar a pochi giorni di distanza dalla firma di un nuovo contratto con Doha: la vendita di 1.1 milioni di tonnellate di gas l’anno a partire dal 2019. Dieci giorni dopo è toccato a Darren Woods, ad di Exxon, che è volato in Qatar per incontrare l’emiro.
Un’indicazione la dà una fonte interna a una delle tre compagnie che anonimamente parla della necessità di evitare rischi politici: “C’è una sola politica, dobbiamo operare come una corporazione commerciale. Dobbiamo fare le nostre scelte sul piano esclusivamente economico e essere qatarioti in Qatar e emiratini negli Emirati”.
Chi prova a tenere i piedi i piedi in due staffe, dopo l’endorsement via Twitter del presidente Trump all’offensiva saudita, sono gli Stati Uniti che ora preferiscono la linea mediatrice del segretario di Stato Tillerson (che è stato, non a caso, presidente della Exxon). Ieri il dipartimento di Stato ha avvertito del rischio che la crisi possa protrarsi per mesi e intensificarsi, aggiungendo che Tillerson è impegnato nella mediazione tra le due parti.
Il segretario di Stato andrà lunedì in Kuwait, il paese che si è posto da subito come negoziatore tra i due fronti. Per ora senza successo: se ieri il ministro degli Esteri del Qatar, Mohammed bin Abdel Rahman al Thani, ha ribadito l’intenzione di dialogare “purché non si tocchi la sovranità del paese”, Riyadh, Il Cairo, Manama e Abu Dhabi davano per collassata la mediazione kuwaitiana.
La lista di 13 richieste mosse al Qatar, impossibili da accettare a meno di una cessione della propria indipendenza politica, resta fulcro della crisi: in un comunicato congiunto ieri sera, i quattro paesi accusano Doha di un’“intransigenza che riflette i legami profondi con i gruppi terroristici e che conferma come continui a minare la sicurezza della regione e la sua stabilità”.
Una nuova rottura che apre, come già annunciato due giorni fa, a nuove sanzioni nei confronti di un paese già isolato, con i confini terrestri e marittimi chiusi e un blocco aereo continuativo che ha fatto già crollare il livello di importazioni verso Doha. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati
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