Sabato il governo bahrenita ha accusato il noto leader religioso sciita Shaykh Isa Qassim di corruzione (rischia una pena di sette anni di detenzione). Ieri, invece, una corte del regno ha ordinato la dissoluzione del principale gruppo di opposizione. Critiche dall’alleata Washington e dalla nemica Tehran
della redazione
Roma, 18 luglio 2016, Nena News – Se non è un KO, poco ormai ci manca. Nel week end è stato sferrato un pesante duplice colpo all’opposizione sciita, ennesima prova che la repressione del dissenso non solo continua, ma procede spedita. Sabato Manama ha accusato il leader sciita Shaykh Isa Qassim di riciclaggio di denaro sporco e di raccolta di soldi illegale. Se dovesse essere condannato nel processo previsto per il prossimo mese, il religioso rischia fino a 7 anni di prigione e a dover pagare una multa di circa 2.6 milioni di dollari.
Secondo l’opposizione, però, dietro le accuse a Shaykh Isa Qassim non ci sarebbe solo il tentativo di silenziare le voci dissidenti, ma anche quello di togliere agli imam sciiti il diritto di raccogliere i contributi religiosi dei proprio fedeli (conosciuti in arabo come “khums”, in italiano “il quinto”). Il denaro in questione, denuncia il governo, andrebbe alla “nemica” Iran e sarebbe utilizzato per sostenere i detenuti per terrorismo. “Le indagini hanno confermato che Qassim controllava il denaro dei poveri sciiti per finanziare atti terroristici nel Bahrain e che ne abbia mandato una somma all’Iran” ha detto una fonta anonima del governo al portale Middle East Eye. “Saremo noi a raccogliere il khums in modo trasparente, sebbene ciò richiederà ancora del tempo” ha poi annunciato.
I problemi giudiziari del religioso risalgono allo scorso mese quando il procuratore capo Mohammad al-Maliki lo ha accusato di corruzione e di appropriazione indebita di fondi il cui valore è stimato a circa 10 milioni di dollari. Le autorità sospettano che tre conti bancari di Qassim sarebbero collegati alla Bahrain’s Future Bank che Manama ha chiuso a inizio anno per i suoi (presunti) legami con l’Iran. Il 20 giugno, cinque giorni dopo le accuse di corruzione, a Qassim è stata tolta la cittadinanza per “motivi di sicurezza”. Una decisione, quest’ultima, che suscitò il mese scorso l’ira dei suoi sostenitori che scesero in piazza a migliaia per manifestare la loro opposizione alla monarchia di re Hamad.
Il khums corrisponde al 20% della ricchezza in eccesso che il fedele ha accumulato per più di un anno ed è solitamente raccolta dagli imam. Una possibile riforma del “quinto” ha fatto infuriare la comunità sciita del Paese. Il noto religioso locale Shaykh Hasan ash-Shatri ha parlato, a tal proposito, di una “chiara provocazione” da parte del governo e ha invitato i cittadini a non obbedire al governo.
Ma l’attacco all’opposizione sciita non si è fermato a Shaykh Qassim: ieri una corte bahrenita ha infatti deciso di dissolvere il principale gruppo di opposizione sciita (al-Wefaaq). Secondo l’Alta corte civile, al-Wefaaq è accusato di vari reati, tra cui quello di “rifiutare la legittimità della costituzione del Paese e dell’autorità legislativa, sostenere la violenza, esprimere solidarietà a chi è stato condannato per istigazione all’odio contro il regime, al colpo di stato e non rispetta il corpo giudiziario ed esecutivo [del regno]”.
Il verdetto di ieri impone la liquidazione dei beni del partito e il trasferimento dei suoi fondi alle casse dello stato. Al-Wefaaq è una delle “società politiche” bahrenite, le uniche formazioni politiche previste dalla legge locale (tecnicamente i partiti sono proibiti). I suoi candidati hanno ottenuto il più alto numero di seggi parlamentari nelle elezioni del 2006 e 2010 sebbene non siano riusciti ad assicurarsi la maggioranza. Nelle ultime legislative (2014), al-Wefaaq ha deciso di non presentarsi perché, motivò allora, voleva maggiore partecipazione al potere, il rilascio dei prigionieri politici e un primo ministro scelto dai rappresentanti eletti (l’attuale premier, uno zio del re, è in carica da più di 40 anni). Al suo leader, shaykh Ali Salman, un tribunale locale ha raddoppiato lo scorso mese la sua pena detentiva (da 4 a 9 anni di reclusione).
La dissoluzione di al-Wefaaq, ultimo e forse più duro provvedimento della campagna repressiva decisa da Manama nei confronti dell’opposizione, è stata duramente condannata da Brian Dooley, il direttore della ong statunitense Human Rights First: “la decisione di oggi [ieri, ndr] è un errore pericoloso. Il governo del regno ha detto al suo popolo che da ora in avanti, non solo non ha diritti, ma che non potrà nemmeno lamentarsi perché non li ha”.
Critiche per la decisione di ieri sono arrivate perfino dall’alleata Washington (che nel piccolo arcipelago ha la V flotta). In un comunicato, il segretario di stato John Kerry ha detto che “le recenti disposizioni del governo di reprimere l’opposizione non violenta minano soltanto la coesione e la sicurezza del Bahrain così come la stabilità dell’intera regione. Tali provvedimenti divergono dagli interessi statunitensi e deteriorano i nostri rapporti con il Bahrain”. La situazione nel Paese è da un po’ di tempo un fastidioso grattacapo per Washington. Lo scorso mese un gruppo bipartisan di senatori ha scritto a Kerry di essere “preoccupata” per il giro di vite deciso da Manama spiegando che una tale situazione “potrebbe destabilizzare l’alleato americano, scatenare le violenze e incoraggiare le interferenze iraniane”.
Iran che ieri ha subito condannato la decisione di dissolvere al-Wefaaq. Secondo il portavoce del ministero degli Esteri della repubblica islamica, Bahram Ghasemi, la sua chiusura genererà altra violenza. Nena News