Un tribunale bahranita ha anche condannato 56 imputati al carcere per “terrorismo”. Confermata dalla Corte di Cassazione la revoca della nazionalità al leader religioso sciita Shaykh Isa Qassim. L’ong locale dei diritti umani protesta: “E’ una parodia della giustizia”
della redazione
Roma, 1 febbraio 2018, Nena News – Nel silenzio generale dei governi occidentali e di gran parte del mondo dei media, la repressione in Bahrain procede imperterrita. Ieri una corte locale ha infatti condannato due sciiti a morte e 56 al carcere con l’accusa di “terrorismo”. Non solo: secondo l’agenzia di stampa statale Bna, il tribunale di Manama ha anche revocato la cittadinanza bahrenita a 47 degli imputati rei di “aver formato un gruppo terroristico” che mirava a compiere “uccisioni e attacchi” contro le forze di polizia. La corte ha fatto inoltre sapere che alcuni dei condannati sono stati anche accusati di aver usato armi e bombe.
Le pene sono state severissime: accanto alle due condanne a morte, delle 60 persone processate in una udienza a porte chiuse, 19 hanno ricevuto l’ergastolo, 17 15 anni di reclusione, 9 e 11 rispettivamente 10 e 5 anni di carcere. Solo due imputati sono stati riconosciuti innocenti e pertanto liberati.
Durissimo è stato il commento del direttore dell’Istituto del Bahrain per i diritti e la democrazia (Bird), Sayed al-Wadey. Al-Wadey ha parlato di “parodia della giustizia”. “Le autorità – ha affermato – hanno ulteriormente mostrato la loro volontà di sfruttare la vulnerabilità dei cittadini: le vite di due uomini sono in bilico, le donne sono state sottoposte a dure sentenze di carcere e alla schiacciante maggioranza degli imputati è stata revocata la cittadinanza e sono stati resi apolidi”. “Le confessioni coatte – ha concluso il direttore di Bird – sono ormai diventate la norma per i tribunali bahrainiti nell’infliggere sofferenze ai suoi cittadini”.
Quella delle confessioni coatte in carcere non è del resto una novità in Bahrain. Alcuni giorni fa il regolatore britannico dei media, Ofcom, ha multato con 120.000 sterline la tv saudita al-Arabiyya per aver trasmesso nel febbraio del 2016 alcune dichiarazioni dell’oppositore Hassan Mushaima estorte sotto tortura. Parlando delle proteste bahranite del 2011, Mushaima aveva detto di aver voluto rovesciare il governo attuale e rimpiazzarlo con uno stile iraniano.
Le sentenze di ieri del tribunale locale giungevano nelle stesse ore in cui la corte di Cassazione respingeva l’appello contro la revoca della cittadinanza al noto religioso sciita locale Shaykh Isa Qassim. Qassim è stato condannato lo scorso 21 maggio del 2017, insieme ad altre due persone, anche ad un anno di prigione e ad una multa di 265.000 dollari per “aver preso fondi e proprietà illecitamente”.
Le condizioni dei diritti umani violati nel piccolo arcipelago del Golfo preoccupano da tempo le organizzazioni non governative. Alcuni attivisti intervistati alcuni giorni fa dalla Reuters hanno infatti detto che la situazione è “significativamente” peggiorata lo scorso anno da quando la pressione internazionale sul regno di re Hamad è diminuita. “Il Bahrain sta nettamente scivolando in una direzione nuova e molta pericolosa” ha detto Brian Dooley della ong statunitense Human Rights First. “Il già livello basso di moderazione che c’era prima non c’è più” ha poi aggiunto esortando soprattutto Usa e Gran Bretagna (che hanno nel piccolo Paese arabo rispettivamente la Quinta flotta e a breve una base militare), ad aumentare le loro critiche alla monarchia sunnita.
Gli attivisti umanitari hanno snocciolato dati allarmanti: nel gennaio 2017 tre persone sono state giustiziate in Bahrain; 19 persone sono al momento condannate con la pena capitale e rischiano di essere giustiziate. Senza dimenticare poi che la tortura è pratica ricorrente nelle carceri bahrenite e che a processare i civili sono le corti militari. Il duro giro di vite della monarchia sunnita di re Hamad (in un Paese a maggioranza sciita) non ha risparmiato nessuno: né il partito di opposizione Wefaaq (sciolto dall’alta corte di giustizia nel luglio 2016), né quotidiani (al-Wasat, principale organo d’informazione, chiuso lo scorso giugno), né, ça va sans dire, gli attivisti.
Emblematico, a tal riguardo, il caso Nabeel Rajab. Una settimana fa alcune ong hanno denunciato le autorità carcerarie bahranite perché non starebbero fornendo cure sanitarie al noto attivista locale. Disposizione, protestano le ong dei diritti umani, ancora più grave perché le sue condizioni di salute stanno peggiorando. “Nabeel è in grave pericolo” ha detto allarmato shaykh Maytham al-Salman del Centro Bahrain per i diritti umani. Accuse rispedite al mittente da parte delle autorità: “Abbiamo molto a cuore la salvezza e il benessere di ogni persona, sia se è libero o è in carcere”. Nena News