Il presidente turco ha ribadito ieri l’intenzione di Ankara di avanzare nella zona orientale dell’Eufrate con l’obiettivo palese di porre fine al confederalismo democratico curdo. A Ginevra, intanto, Onu, Russia, Iran e Turchia provano a trovare una intesa sulla formazione di una commissione costituzionale
della redazione
Roma, 18 dicembre 2018, Nena News – La Turchia potrebbe lanciare una nuova offensiva militare nel nord della Siria in chiave anti-curda in qualunque momento. A dirlo ieri è stato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Erdogan ha anche aggiunto che il suo pari statunitense Donald Trump avrebbe già dato l’ok ai piani bellici di Ankara.
Le parole del “Sultano” giungono dopo che già la scorsa settimana aveva annunciato una nuova offensiva turca contro le Unità di protezione popolare curde (Ypg) a est del fiume Eufrate (nord della Siria). Per Ankara, infatti, le Ypg sono forze “terroriste” in quanto braccio siriano del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), organizzazione terrorista anche per Usa e Unione Europea (ma non lo sono le Ypg) contro cui Ankara è in guerra dal 1984.
L’avanzata turca è però in stand by per il momento per due motivi: innanzitutto le unità curde costituiscono la base fondamentale delle Forze democratiche siriane (Fds) sostenute dagli Stati Unite nella lotta contro lo Stato Islamico (Is) nella parte nord orientale del Paese. Inoltre a est dell’Eufrate ci sono anche le truppe americane (sono presenti circa 2.000 soldati a stelle e strisce nell’area). Erdogan ha parlato venerdì a telefono con Trump e con lui ha parlato di “un coordinamento più effettivo in Siria” tra i loro due paesi. In un discorso televisivo il leader turco non ha poi usato giri di parole: “Ho parlato con Trump. I terroristi se ne devono andare dalla parte orientale dell’Eufrate altrimenti li rimuoveremo noi”.
Il “Sultano” è consapevole però che avanzare nel Rojava curdo e distruggere il progetto del confederalismo democratico non può non avvenire senza previa luce verde data dagli americani. “Siccome siamo partner strategici con gli Usa, noi dobbiamo fare quello che è necessario. Ma loro devono adempiere alle promesse”. Quali siano queste rassicurazioni di Washington non è chiaro. Di certo c’è che la recente decisione dell’amministrazione Trump di creare punti di osservazioni nel nord della Siria con l’obiettivo di prevenire scontri tra l’esercito turco e le Ypg non è stata accolta con molto entusiasmo dalla Turchia che ha già lanciato due operazioni militari in Siria. La prima nell’agosto 2016 ufficialmente in sostegno dei “ribelli” siriani contro il “califfato islamico” (Is); la seconda nel gennaio 2018 contro i curdi di Afrin (uno dei tre cantoni del Rojava, situato nella Siria nord-occidentale) piegati dalle forze turco-siriane dopo 3 mesi di resistenza.
E se a frenare per il momento gli impulsi bellici turchi sono gli americani, a spingere per un’offensiva sono i gruppi della variegata opposizione siriana islamista riuniti nel Fronte di Liberazione Nazionale (Nlf) della città nord occidentale di Idlib. Ieri, infatti, in una nota l’Nlf ha fatto sapere che sosterrà l’offensiva perché “il regime siriano ha creato un’ambiente adatto per i gruppi terroristi. Pertanto appoggiamo ogni operazione che mira a garantire la stabilità regionale, a porre fine alla presenza terrorista e a permettere il ritorno degli sfollati alle loro case. Non permetteremo ad alcun gruppo – siano essi del Pkk/Ypg o ad altri – di dividere il nostro Paese”.
Mentre proseguono le minacce turche di invasione ad est, intanto, l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria Staffan de Mistura è pronto a incontrare oggi a Ginevra i ministri degli esteri d’Iran, Russia e Turchia per discutere con loro della formazione di una nuova commissione “credibile, equilibrata e inclusiva” che possa scrivere una nuova costituzione siriana. Ieri i rappresentanti dei tre stati (i primi due sostengono il presidente siriano al-Asad mentre il terzo sostiene l’opposizione siriana per lo più islamista), hanno dichiarato di essere vicini ad una intesa. De Mistura, che a fine anno lascerà il suo ruolo di inviato speciale per la Siria, sta cercando da gennaio di giungere ad una accordo sui 150 membri della commissione. A suo giudizio, infatti, questo è il primo passo da compiere per realizzare poi progressi politici. Sia al-Asad che la variegata opposizione hanno dato rispettivamente 50 nomi. Il problema è dato dagli altri 50 nominativi presi dalla società civile e “indipendenti” su cui non c’è ancora accordo.
La Turchia, tramite il suo ministro degli esteri Cavusoglu, ha fatto sapere due giorni fa che lavorerà con il presidente siriano qualora dovesse vincere le elezioni democraticamente. Il problema è che pure se si dovesse formare la commissione – obiettivo non scontato visto quanto accaduto lo scorso mese in Kazakhistan dove non si è trovata una intesa– Damasco ha già fatto sapere che considererà solo emendamenti all’attuale costituzione e non un nuovo documento. Il governo siriano sa che ornai può alzare la voce: grazie ai suoi sponsor russi e iraniani ha ripreso il controllo di gran parte del Paese e ha piegato la variegata opposizione. Nena News