Mentre si prepara una nuova offensiva contro lo Stato Islamico e GNA e Haftar mantengono viva la loro contrapposizione, prende forma un nuovo piano per bloccare i flussi migratori verso l’Europa
di Francesca La Bella
Roma, 3 giugno 2016, Nena News - Una nuova offensiva contro lo Stato Islamico in Libia sembra ormai essere alle porte. Sia le milizie governative sia l’esercito sotto la guida del Generale Khalifa Haftar sarebbero, infatti, in marcia verso la città di Sirte, bastione della presenza islamista nel Paese e nucleo centrale del controllo dell’area petrolifera costiera. L’attacco apparentemente congiunto delle diverse componenti armate libiche, piuttosto che evidenza di una rinnovata alleanza contro un comune nemico, sembra, però, costituire una nuova fase della guerra di posizione tra il Governo di Accordo Nazionale (GNA) e le forze di Tobruk.
Parallelamente alla disputa sulla distribuzione di carta moneta proveniente dalla Russia che ha messo su fronti opposti Cirenaica e Tripoli, l’avanzata delle milizie di Misurata, fedeli al GNA, verso Sirte e il posizionamento delle forze di Haftar 300km a sud della città, nell’area di Zalla, mostrano la totale mancanza di coordinamento tra le due azioni. Se, inizialmente, l’operazione Sirte era da considerarsi frutto della strategia di contrasto dello Stato Islamico portata avanti da Haftar, la politica di controllo di Tripoli sulle operazioni militari in atto, ha indotto un cambio di strategia del Generale e un mancato compattamento delle forze ostili al Califfato.
Pur avendo come obiettivo dichiarato la liberazione di Sirte, a fronte della decisione del Governo centrale di creare un comando unificato per le operazioni, l’Esercito Nazionale Libico ha lanciato l’Operazione Volcano contro Derna e ha iniziato un’opera di consolidamento degli avamposti territoriali, evitando attacchi diretti contro lo Stato Islamico a Sirte. Se da un lato, dunque, Haftar sembra voler attendere che lo Stato Islamico venga indebolito dagli attacchi governativi in modo da ridurre le eventuali perdite sul campo, dall’altro, non volendo sottostare ad un comando unificato e volendosi presentare come unico esercito ufficiale in contrapposizione con la neonata Guardia Presidenziale, il Generale sembra voler sfruttare la situazione contingente per allargare il territorio sotto il proprio controllo e la propria area di influenza politica.
Il GNA, invece, sembra sempre più volgere lo sguardo all’Europa ed ai vicini d’area per aumentare la propria legittimità nel Paese. A fronte dell’evidente frammentazione interna e del mancato riconoscimento dell’autorità esclusiva di Tripoli sia da parte di forze interne sia da parte di attori internazionali (Egitto in primis), con l’azione contro Sirte e con le politiche di controllo delle migrazioni il GNA cerca di presentarsi come unica alternativa possibile per la tutela della sicurezza interna e, di conseguenza, internazionale. In questo senso risultano significative le parole del vice premier Ahmed Maiteeq che, in visita a Roma a fine maggio, ha chiaramente tracciato il quadro del ruolo che il GNA ambisce a ricoprire. Maiteeq avrebbe, infatti, affermato che la pacificazione dell’area mediterranea potrebbe essere raggiunta proprio grazie ad una risoluzione della questione libica.
Questo obiettivo sarebbe fermamente perseguito dal GNA che, avendo indotto un arretramento dello Stato Islamico nell’area di Sirte di circa 100km e essendo riuscito a rinsaldare i rapporti con l’Egitto del Generale al Sisi, potrebbe, entro pochi mesi, avere il controllo effettivo del Paese e giungere ad una pacificazione di lungo periodo dello stesso. Per quanto riguarda i flussi migratori, problema che preoccupa da vicino l’Europa, Maiteeq avrebbe, inoltre, aggiunto di poter fermare entro un anno i trafficanti se dovesse esserci il piano di investimenti previsto dal “migration compact” del premier italiano Matteo Renzi.
Per rendersi credibile agli occhi dei vicini europei, però, la Libia ha già in atto politiche di controllo delle migrazioni e gli aiuti richiesti dovrebbero permettere l’ampliamento e il consolidamento delle stesse. Affermando di poter contribuire in maniera significativa alla sicurezza dei confini europei ed alla tutela delle vite di coloro che attraversano in condizioni degradanti il Mediterraneo con la speranza di giungere in Europa, il Governo libico si sarebbe impegnato nell’implementazione dei centri di detenzione per migranti e nell’applicazione di più severe misure di contrasto verso i trafficanti.
Sul modello dell’accordo vigente durante il Governo del Colonnello Gheddafi e di quello firmato con la Turchia pochi mesi fa, la responsabilità di selezione, accoglienza e respingimento dei migranti verrebbe trasferita dalla sponda nord alla sponda sud del Mediterraneo.
I migranti, provenienti perlopiù dai Paesi centro-africani e dal Corno d’Africa, si trovano così intrappolati in uno dei Paesi meno stabili e meno sicuri dell’area, passibili di rapimenti e torture, detenuti in condizioni sanitarie totalmente inadeguate e privi di una possibilità di miglioramento delle proprie condizioni di vita nel breve periodo. Se l’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler, dopo aver visitato il 19 maggio il Centro di Detenzione di Abu-Saleem a Tripoli, ha affermato la necessità di migliorare le condizioni sanitarie dei migranti detenuti in linea con le norme internazionali e di ricercare soluzioni di lungo periodo alternative alla detenzione, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e le Nazioni Unite hanno sottolineato la necessità di liberare donne e minori dai centri detentivi e di garantire la volontarietà dei rimpatri.
Laddove per il diritto internazionale è illegale il rimpatrio in un Paese dove non esistano garanzie di tutela dei diritti umani e la vita del migrante sia in pericolo, non solo sarebbero illecite le espulsioni dalla Libia, ma anche i respingimenti europei verso Tripoli. Sia il contingente contesto di guerra civile in atto nel Paese, sia le condizioni di vita nei Centri detentivi dovrebbero, infatti, costituire un ostacolo all’espulsione.
Secondo un lungo articolo del Huffington Post in merito alla questione, i migranti detenuti riferirebbero di essere costretti a lavori forzati, picchiati dalle guardie, chiusi in celle piccole e sovraffollate, con poco cibo e acqua. Numerosi sarebbero, inoltre, i casi riportati di malattie come scabbia e malaria dovute ad inaccettabili condizioni igienico sanitarie. Di primo piano sarebbero, infine, i tentativi di fuga dai centri: l’OIM riporta, ad esempio, dell’uccisione di 5 uomini e del ferimento di altri 11 durante un tentativo di fuga ad aprile dal Centro di Al-Nasr ad Al Zawyah.
Se da un lato, un maggiore impegno nel GNA nel blocco dei flussi migratori potrebbe portare ad un ulteriore decadimento di questa situazione, molti analisti sottolineano anche che i migranti, non potendo più seguire la pista libica e con il confine turco bloccato dai nuovi accordi, potrebbero intraprendere tratte ancor più pericolose con le relative disastrose conseguenze in termini di vite umane. Nena News