In ripresa dopo anni di conflitto, proprio mentre i membri OPEC programmano tagli alla produzione, la Libia spera in una deroga per continuare a far crescere la produzione e l’esportazione verso l’Europa
di Francesca La Bella
Roma, 26 Novembre 2018, Nena News - Mentre i membri dell’OPEC programmano ulteriori tagli alla produzione petrolifera per l’inizio del 2019 per evitare un nuovo abbassamento dei prezzi a causa di un possibile eccesso di offerta, la Libia, in ripresa dopo anni di conflitto, spera in una deroga. A fronte della situazione globale, l’Arabia Saudita chiederebbe, infatti, la riduzione di circa 1 milione di barili al giorno (BPD) da parte dei membri OPEC dato il mancato effetto inflattivo sui mercati delle sanzioni statunitensi all’Iran.
Il paese nordafricano di 6,4 milioni di abitanti, nonostante le esenzioni riconosciutele in sede di trattativa OPEC insieme alla Nigeria, ha faticato a ricostruire la sua industria energetica a seguito della caduta di Muammar Gheddafi e della conseguente guerra civile. Le strutture di produzione petrolifera sono state colpite da attacchi terroristici e milizie contrapposte ne hanno alternativamente preso il controllo mentre la scure delle sanzioni internazionali ha, in molti casi, bloccato le esportazioni dalle aree orientali non direttamente sotto il controllo del Governo centrale.
Ora la situazione sembra, però, mutata. Secondo quanto descritto dal rapporto di ricerca della Arab Petroleum Investments Corporation (APICORP), la Libia potrebbe svolgere sempre più un ruolo centrale nelle transazioni petrolifere verso l’Europa. L’attività del servizio petrolifero libico è ripresa ed è stato registrato un significativo aumento delle perforazioni, con la ripresa delle attività da parte di tutte le principali compagnie internazionali come BP, ENI e Gazprom. Tra luglio e ottobre la produzione è passata da 670.000, a 1,28 milioni BPD, con una crescita che non si vedeva dall’inizio del conflitto quando la produzione era di circa 1,6 milioni di BPD. Da allora, la produzione ha oscillato all’interno di una vasta banda, scendendo a 200 mila BDP e arrivando ad un massimo di 1,4 milioni BDP tra la fine del 2011 e il 2012 per poi attestarsi su valori inferiori al milione. Le previsioni sembrano, inoltre, confermare che la produzione potrebbe aumentare ulteriormente date le caratteristiche favorevoli della struttura libica.
La Libia ha, infatti, caratteristiche tali per cui, a condizione che si riesca a stabilizzare la situazione politica interna, le transazioni risultano particolarmente vantaggiose per gli acquirenti europei. Molto interessanti, da questo punto di vista, gli aspetti sottolineati in una breve analisi di “Oil Review Africa”. In primo luogo le riserve, le più vaste del territorio africano, mantengono una consistenza significativa: 48 miliardi di barili, circa il 3% del valore complessivo mondiale con un rapporto produzione/riserve stimato a 153 anni. In secondo luogo, il petrolio libico è relativamente facile da estrarre e l’installazione delle infrastrutture di estrazione ed esportazione da parte di compagnie internazionali è stata relativamente poco complessa. In terzo luogo, i flussi petroliferi della Libia offrono principalmente petrolio greggio dolce e di alta qualità facilmente vendibile nel mercato internazionale. Infine, il petrolio della Libia è vicino ai maggiori centri di consumo con tempi di navigazione verso i porti europei che vanno da due giorni per raggiungere la Sardegna agli undici giorni necessari per raggiungere Rotterdam. Tempi infinitamente minori rispetto ad altri Paesi esportatori.
Tuttavia il paese rimane in uno stato di guerra civile e permane la minaccia di formazioni radicali e milizie locali. Benchè i recenti attacchi ai pozzi non abbiano avuto un diretto impatto sulla produzione petrolifera, la minaccia rappresentata da rapimenti e danni correlati alla guerra rappresenta un rischio che qualsiasi azienda che intende investire nel paese è obbligata a prendere in considerazione. Nonostante questo, i recenti sviluppi politici sembrano aprire spiragli di ottimismo da questo punto vista. Secondo molti analisti, infatti, se si dovesse giungere ad un accordo reale e duraturo tra le due principali forze del paese, il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli ed il generale Khalifa Haftar, reale guida del Governo di stanza in Cirenaica, la stabilizzazione politica potrebbe portare ad un maggiore livello di sicurezza nel paese. Sotto il controllo di Tobruk e dell’esercito di Haftar ricade, infatti, l’intera Mezzaluna petrolifera che, con i suoi quattro porti rappresenta la principale area di esportazione libica nonché la principale fonte di entrate della Libia, mentre l’area di Mellitah e dei giacimenti ENI, in Tripolitania, è formalmente sotto giurisdizione GDA.
Alla luce di tutto questo, l’interesse interno ed internazionale per la Libia diviene più che evidente e poco importa se le ricadute attese sul benessere della popolazione locale, attualmente per circa il 40% al di sotto della soglia di povertà secondo stime ONU, potrebbero rivelarsi ben minori rispetto ai reali introiti del nuovo corso.
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra