Sono ripresi gli scontri nella aree meridionali della capitale libica dove l’Esercito nazionale libico avrebbe lanciato una vasta offensiva. Il movimento di protesta “Rabbia del Fezzan” del sud della Libia, intanto, ha annunciato domenica la chiusura dei giacimenti petroliferi di Shahara ed El-Feel
di Roberto Prinzi
Roma, 21 gennaio 2020, Nena News – Vista da Tripoli, Berlino è assai lontana. Mentre domenica nella capitale tedesca i principali leader mondiali si scambiavano sorrisi e strette di mano soddisfatti per i risultati ottenuti con il summit sulla Libia, la realtà sul terreno restituisce un’altra immagine. Dopo 8 giorni di relativa calma, infatti, ieri all’alba sono tornate a parlare le armi nel paese nordafricano: scontri tra le forze del Governo di accordo nazionale (Gna) e dell’Esercito nazionale libico (Enl) si sono registrati in diverse aree alla periferia sud di Tripoli, in particolare in quella di al-Qassi, Sidra e Khalat dove Haftar avrebbe lanciato una vasta offensiva. A Khalat le forze del Gna hanno detto di aver colpito un carro armato del «nemico» che con la sua «aggressione» ha «rotto la tregua» concordata a Berlino. Diversa la versione dell’Enl che sostiene di essere stato costretto a rispondere agli attacchi subiti.
Dopotutto la guerra che si combatte in Libia è fatta anche a suon di dichiarazioni spesso tra di loro contradittorie persino quando provengono dalla stessa fonte. È il caso del presidente turco Erdogan che, negando quanto aveva affermato appena la scorsa settimana, ha affermato l’altro giorno di non aver inviato finora truppe in sostegno del Gna, ma di essersi limitato a consiglieri e addestratori militari. Una dichiarazione discutibile se si pensa che in Libia sono arrivate recentemente alcune migliaia di “ribelli” siriani sostenuti dai turchi per combattere i soldati di Haftar. L’Enl, intanto, tramite il suo portavoce al-Mismari, ha accusato ieri Ankara e i gruppi armati di Tripoli di aver istallato un «sistema di difesa anti-aerea di fabbricazione statunitense all’aeroporto di Mitiga» e «dislocato armi e artiglieria nel porto di Misurata», violando così la tregua del 12 gennaio mediata da turchi e russi.
Sempre più complessa si fa anche la partita del petrolio. Il movimento di protesta “Rabbia del Fezzan” del sud della Libia ha annunciato domenica la chiusura dei giacimenti petroliferi di Shahara ed El-Feel. Uno stop che segue il blocco di altri giacimenti e porti petroliferi nella Libia centrale e orientale avvenuto nei giorni precedenti e che durerà, ha riferito all’Agenzia Nova il capo delle tribù della Cirenaica Sulaiman al-Fakhiri, «finché non si ritireranno le forze dell’invasione ottomana (turca, ndr)». Pochi giorni fa la compagnia petrolifera libica (Noc) aveva annunciato che l’incapacità di poter operare per «cause di forza maggiore» in vari porti del Paese comporterà una perdita di produzione di petrolio greggio pari a 800 mila barili al giorno e perdite finanziarie giornaliere di circa 55 milioni di dollari. Nena News