Il 2015 ha visto una nuova ondata di scioperi in tutto il paese. A dicembre arriva la risposta dei sindacati indipendenti che in una conferenza nazionale puntano all’unità per contrastare il neoliberismo del Cairo
di Antonio Drius
Il Cairo, 14 gennaio 2016, Nena News – Una nuova ondata di scioperi. A dicembre in diverse regioni dell’Egitto, da Assiut a Suez, al Delta, lavoratori di società nei settori del tessile, del cemento, delle costruzioni, sono entrati in sciopero a oltranza: le loro rivendicazioni riguardano l’estensione di diritti salariali e indennità riservate alle società pubbliche. Si tratta di benefici di cui questi lavoratori hanno smesso di godere in seguito alla massiccia ondata di privatizzazioni dell’ultimo periodo dell’era Mubarak. Molte di queste privatizzazioni dopo la rivoluzione del 2011 sono state portate davanti ai giudici, i quali ne hanno spesso decretato la nullità, rilevando diversi casi di irregolarità e corruzione.
Tali scioperi sono per lo più scollegati tra di loro e in gran parte slegati dal mondo del sindacalismo indipendente che si è riunito a metà dicembre al Cairo. Ma rappresentano comunque una realtà molto significativa, per almeno due motivi. Da un lato, pur se in maniera non del tutto esplicita, contestano il cuore della trasformazione neoliberista del paese, che ha subito una profonda accelerazione dal 2004 in poi, e che le rivolte popolari esplose nel gennaio 2011 con lo slogan “Pane, Libertà, Giustizia Sociale” non sono riuscite sostanzialmente a intaccare. L’altro aspetto è che in un contesto autoritario e repressivo come quello dell’Egitto dell’ex-generale al-Sisi, il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento.
Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla “guerra al terrorismo”, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile.
Il sindacalismo indipendente
La giornata di venerdì 11 dicembre ha visto svolgersi un vibrante incontro presso il Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati (CTUWS), fondato nel 1990, tra i punti di riferimento del sindacalismo indipendente egiziano. Sebbene la sala più grande del Centro abbia un centinaio di posti a sedere, la sera dell’incontro non riusciva a contenere il numero di attiviste e attivisti sindacali giunti da tutto l’Egitto per un’assemblea che ha dello straordinario nel contesto attuale del paese.
L’occasione è data da una circolare del consiglio dei ministri che raccomanda una stretta collaborazione tra il governo e il sindacato ufficiale ETUF (unica formazione ammessa fino al 2008), con il fine esplicito di contrastare il ruolo dei sindacati indipendenti e marginalizzarli tra i lavoratori.
Sebbene oggi il CTUWS non sia rappresentativo della complessa costellazione del sindacalismo indipendente egiziano, il suo appello è stato raccolto, forse anche inaspettatamente, da un numero molto significativo di sindacati. Alla fine, saranno una cinquantina circa le sigle che sottoscriveranno la dichiarazione di chiusura, rappresentanti dei più svariati settori economici, e dalle più svariate regioni del paese: dai trasporti alla scuola, dall’agricoltura all’ampio settore informale, dal Sinai all’Alto Egitto, passando per il Delta, Alessandria, e il Cairo. La circolare del governo, infatti, rappresenta un ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori e alle libertà sindacali, fortemente ristrette dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013, e ha così fatto da catalizzatore di un malcontento molto diffuso tra i lavoratori, ma che stentava fino ad oggi a prendere forma in iniziative concrete.
Movimento in crisi
Dopo la rivoluzione del 2011 l’Egitto ha vissuto una sorprendente espansione dello spazio di agibilità politica. Si è assistito alla nascita di centinaia di nuovi sindacati, un vero e proprio movimento, di cui il CTUWS è stato tra i protagonisti, attraverso le sue attività di suppoorto e formazione. Tuttavia, negli ultimi due anni, repressione e cooptazione da parte del regime hanno seriamente indebolito queste iniziative, al punto che le due maggiori federazioni (la EDLC e la EFITU) non riuniscono la loro assemblea generale dal 2013. Di fatto ogni sindacato agisce ormai per conto proprio a livello locale o di settore. L’esigenza di unirsi e coordinare gli sforzi però è molto sentita, e lo testimonia la grande partecipazione all’assemblea, oltre ai tanti interventi che hanno puntato il dito contro la frammentazione del movimento, e invocato la necessità di lavorare insieme, al di là delle correnti di appartenenza. È certamente questo, nonostante i molti limiti, il dato più importante da registrare della giornata di venerdì.
Gli interventi si sono succeduti a decine, concisi, spesso appassionati e con un taglio molto operativo: si trattava di proporre e decidere insieme il “cosa fare da domani mattina”, un appello ripetuto come un mantra durante l’incontro, data l’urgenza del momento e la necessità di delineare un piano d’azione a breve e medio termine. Da notare la presenza di una nutrita minoranza di donne, i cui interventi sono stati in alcuni casi tra i più apprezzati e applauditi dalla platea a maggioranza maschile.
L’incontro dell’11 dicembre si è concluso con la decisione di formare un comitato il più possibile rappresentativo dei presenti, che si incarichi di gettare le basi per una campagna nazionale sui temi del lavoro e delle libertà sindacali. L’idea è quella di organizzare una serie di conferenze regionali che portino nel giro di pochi mesi ad una grande assemblea nazionale e possibilmente ad una manifestazione unitaria di protesta (“a Tahrir!” diceva anche qualcuno tra i presenti, invocando la piazza che è stata teatro della stagione rivoluzionaria del periodo 2011-2013, e che da più di due anni è vietata a qualsiasi forma di protesta). L’agenda sembra decisamente ampia e include tra gli obiettivi fondamentali quello di contrastare la legge 18 del 2015, che ha recentemente preso di mira i lavoratori del settore pubblico, ed è stata duramente contestata nei mesi passati.
Uno sguardo all’Italia
La strada appare ancora lunga e accidentata, ma è unicamente da questi fermenti sociali che può scaturire la speranza per un Egitto realmente democratico. E gli sviluppi di queste iniziative meritano di essere seguiti con attenzione e vicinanza, anche da questa parte del Mediterraneo. Sono gli stessi sindacalisti egiziani che ce lo chiedono, facendo appello a realtà sociali simili a loro in Italia e in Europa, per sviluppare forme di scambio, solidarietà e cooperazione che possano rafforzarli e incoraggiarli in questa delicata fase storica. Questi esperimenti dal basso potrebbero forse indicare anche a noi nuove traiettorie per un sindacalismo –al contempo combattivo e democratico – al passo con le trasformazioni imposte dalla globalizzazione del ventunesimo secolo. Nena News
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Adesso è chiaro perché Giulio è morto. Perché era andato contro il regime egiziano creatosi dopo il Golpe del 2013 con questo articolo. E si era schierato con i sindacati, fortemente vessati dal regime formatosi da allora. E c’è da chiedersi quale agente segreto lo abbia fotografato nel suo intervento in quella riunione sindacale di cui parla per poi poterlo uccidere. Ricordiamoci che è anche stato torturato, quindi c’è da immaginare che non possono essere state altro che quelle bestie dei militari. E poi, quel golpe, dopo una rivoluzione che aveva portato nel 2011 Morsi ad essere legittimamente Presidente Eletto, chi l’avrà fomentato dall’estero? Ci sarà di mezzo la CIA che ama creare colpi di Stato da sempre per mettere governi o regimi fantoccio per motivi imperialistici, di petrolio e di potere? Come in Iraq ed Afghanistan? Sarà che l’ISIS di oggi è un loro prodotto a scopo strategico per accaparrarsi più petrolio possibile, visto che minacciano anche i nostri giacimenti in Libia e sono finanziati dall’Arabia Saudita, Paese da sempre amico degli USA, e i loro armamenti e i loro carrarmati sembrano tanto americani o russi, magari glieli vendono entrambi anche per mettere paura, abbiamo visto, soprattutto all’Europa, visto che il livello economico tra i Paesi Leaders europei e gli USA e la Russia è decisamente e tendenzialmente concorrenziale? Vorranno minacciare noi Europei tramite questo loro “prodotto” (è facile convincere degli esaltati a farsi saltare in aria se li imbambalucchi con la loro religione e gli metti qualche infiltrato che li convince), e continuare ad avvicinarsi costruendosi a poco a poco geograficamente uno stradello verso Paesi che si stanno arricchendo esponenzialmente come Cina e India arrivando a circondarli e mettergli attorno Paesi confinanti con governi fantoccio loro alleati? Mi ricorda un po’ quello che negli USA è tristemente noto come 9/11. Chissà se Bin Laden è morto davvero. Chissà chi lo ha voluto davvero quel giorno. Chissà perché di 1.500 ebrei che lavoravano alle torri gemelle quel giorno non ce n’era 1 al lavoro… Bin Laden avrà convinto qualcuno di là ma stare dalla parte di qua? Aveva troppi interessi e proprietà negli USA, dai!… Poi Bush senior è uno dei più grandi produttori di armi di tutta America, visto le guerre che si sarebbero susseguite… magari, come ho detto, per ovviare ad una crisi che in America era già cominciata ad apparire 10 anni prima, per andare a succhiare risorse altrove… Era crudo quel filmato sulla morte di Bin Laden? E’ per questo che non lo hanno trasmesso? O per non riconoscere che non era lui, e che era una scena di teatro? Italiani, andate qui https://it.wikipedia.org/wiki/Golpe_egiziano_del_2013
e sentite cosa dice David Piccardo della nostra bigotteria nel considerare la primavera araba egiziana e il golpe del 2013 e cosa dice l’Illustre quotidiano inglese The Guardian sempre a riguardo (belli anche gli inglesi) su Opinioni e valutazioni sul colpo di Stato. Povero ragazzo. E’ stato coraggioso, un esempio della poca Italia migliore. Ciao Giulio, non sarai mai dimenticato. Il tuo esempio mi ispirerà sempre anche qui in questo Paese che certo non ti avrebbe apprezzato per quello che valevi tanto di più di quello in cui hai trovato la morte.
Preciso che il mio commento era ispirato dalla rabbia per la morte di questo bravissimo ragazzo e dal dolore che in me tale tragedia ha suscitato. Non volevo strumentalizzare la morte di un giovane coraggioso e giusto con i perché e i percome è morto, se non criminalizzando chiunque sia stato a torturarlo e ad ucciderlo, al di là delle mie supposizioni esposte nel commento che ho fatto su chi può essere stato. E a tutti i collegamenti che ho fatto dopo con la CIA, l’America, la Russia, l’ISIS e tutti i discorsi collegati, pure supposizioni senza nulla di realmente fondato. La mia non era una intenzione di strumentalizzazione, ma un impeto di rabbia e di dolore. Mi dispiace e chiedo scusa alla famiglia di Regeni, alla quale voglio solo dire che partecipo con la mia costernazione e anche in parte, da Italiano affezionato ai bravi ragazzi come Giulio che dimostrava interesse verso la fetta più debole della popolazione, collaborava col Manifesto e difendeva i Sindacati anche col suo collegamento sulla situazione italiana, col mio dolore personale che non sarà così forte come fosse un fratello minore o un familiare, è ovvio, ma mi ha veramente fatto male davvero. Ce ne sono tanti pochi qui di giovani bravi, e per uno che ce n’è fa questa fine. Questo mi ha sinceramente ferito. Condoglianze a voi, famiglia Regeni.
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Al di là dei soliti idioti italiani che parlano… Giulio difendeva i sindacati dei lavoratori egiziani, fortemente maltrattati ed odiati da Al-Sisi, capo dell’Egitto a seguito del colpo di Stato del 2013 voluto dai militari che lo hanno portato al potere. Questo colpo di Stato è successo due anni dopo la Primavera Araba voluta dai Fratelli Musulmani, un moto rivoluzionario interno che portò ad una elezione democratica plebiscitaria di Morsi. Adesso Morsi credo sia ancora in galera, mentre Al-Sisi, comandante anche di quell’agente segreto che fotografò Regeni alla riunione sindacale per identificarlo e studiare i suoi spostamenti, è il diretto mandante delle sue torture e del suo assassinio. Quando ci sono le torture ci sono sempre i maledetti militari, ed Al-Sisi ne è il comandante supremo, che accentra come tutti i dittatori attorno a sé tutto il potere. E dire che si è voluto dichiarare fermo nello scovare la “verità” parlando da “padre” ai genitori del suo assassinato, alla famiglia Regeni appunto. Questo colpo di Stato del 2013 fu voluto dai militari egiziani su accordo dei Servizi Segreti Americani, consapevoli e consenzienti dell’imminente tortura ed uccisione di Regeni da parte dei loro alleati Servizi Segreti egiziani del dopo-2013. Gli americani hanno voluto mettere il governo di Al-Sisi in Egitto perché gli era amico nella rotta del petrolio e nella rotta verso le Indie, Paese concorrente insieme alla Cina nella corsa al denaro e alle risorse che già all’America mancavano da tempo. E a tutto questo servì l’11 Settembre, con la scusa di Bin Laden, che è vivo e vegeto nei sottomeandri della CIA. Tutto questo Giulio lo sapeva bene, ma anche i suoi nemici sapevano che lui sapeva, troppo, e dopo quella famosa foto aveva paura. Questa è la verità, se poi volete conoscere altre cazzate come quelle del fantoccio che mi ha appena risposto, allora cercatele su Mediaset o fatevele dire da Salvini. Meglio essere dei terroristi ma lottare per cause giuste, per la democrazia ma quella vera non quella che ci sarebbe in teoria in Italia, e per i lavoratori, che fantocci come quel Pingback che mi scrive e che non ha come me il coraggio di mettere il suo nome, e stare sempre dalla parte della viltà dei fascisti italiani, che riconoscono come legittimo, vergognosamente, un governo Egiziano risultato di un colpo di Stato. Era troppo scomodo all’America e ai loro amici militari nordafricani avere uno di sinistra che difendesse i lavoratori e incrinasse il regime fantoccio che a loro faceva comodo. Troppo scomoda anche per l’Italia e gli italiani la verità.
Mi sono sbagliato su “Pingback” che direi è dalla mia stessa parte. Probabilmente è qualcuno che scrive e mette links che saluto con affetto invece. Avevo letto solo il titolo ed interpretato male il significato, poi ho letto il link ed è molto interessante (per adesso ho letto solo questo). Regeni aveva lavorato in una think-tank per capire come ragionava il mondo neoliberale, e per istruirsi e prepararsi bene, così da fornire in seguito ai sindacati egiziani (da lì era tornato a collaborare con l’Università di Cambridge, il mondo arabo era la sua passione) armi preziose per sconfiggere i padroni. Ma le notizie diffuse da lui fino a quel momento sono state incrociate e i suoi nemici hanno capito che lui era talentuoso ma rivoluzionario, ed aveva un bel bagaglio di informazioni ed esperienze che poteva usare contro di loro, una bella anima ma pericolosa per l’egemonia economica e politica neoliberale, per cui lo hanno torturato ed ucciso. Ed è stato ucciso in un Paese comandato da un regime militare, amico dell’America dove le think-tank liberali sono nate.
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