Sono almeno 38 i morti e un centinaio i feriti in un doppio attacco nella capitale, nonostante la dichiarazione del mese scorso del premier al-Abadi: l’Isis è stato sconfitto. E intanto ci si prepara alle elezioni: il primo ministro si ricandida con l’appoggio delle milizie sciite, scatenando l’ira di al-Sadr
della redazione
Roma, 15 gennaio 2018, Nena News – Ancora morte a Baghdad: questa mattina un doppio attacco kamikaze ha ucciso almeno 38 persone – ma il bilancio cambia di ora in ora – e ferito un centinaio di persone. I due attentatori si sono fatti saltare in aria in piazza Tayyaran, nel centro della capitale irachena a meno di 48 ore dall’ultimo attacco, quello di sabato che ha ucciso otto persone sempre a Baghdad.
Il luogo scelto non è casuale: piazza Tayyaran è sempre affollatissima fin dalle prime ore dell’alba perché zona commerciale, piena di negozi, e luogo di ritrovo degli operai a giornata che qui aspettano in cerca di un qualche ora di lavoro.
Subito sono arrivati i soccorsi, mentre le forze di sicurezza venivano dispiegate nella zona. Il governo ha convocato una riunione di emergenza con esercito e intelligence nel quartier generale di Baghdad. L’ufficio del primo ministro fa sapere che sono stati impartiti ordini nuovi per “il perseguimento e la distruzione delle cellule terroristiche dormienti”.
Al momento non ci sono rivendicazioni dell’attentato, ma tutti pensano al responsabile più ovvio e probabile, lo Stato Islamico. Ormai privato dei territori occupati dal 2014 dopo le controffensive dell’esercito iracheno nell’ovest dell’Iraq, l’Isis opera da mesi infiltrandosi nelle città dell’est seminando morte e distruzione. Lo dicono i numeri delle Nazioni Unite: nel 2017 sono stati 3.289 i civili uccisi e 4.781 quelli feriti in attentati terroristici e scontri armati nel paese. Dati che, specifica l’Onu, non tengono conto delle vittime di novembre e dicembre nella regione sunnita dell’Anbar perché non sono stati forniti dalle autorità locali.
Una strategia nuova che svuota le parole di ottimismo del primo ministro iracheno al-Abadi che lo scorso dicembre diede per conclusa la guerra allo Stato Islamico. La guerra c’è ancora, ma è cambiata: i miliziani islamisti ancora presenti sul territorio sfruttano le carenze della sicurezza, si muovono nel paese e agiscono secondo una strategia di guerriglia che non si traduce in scontri con la polizia o l’esercito ma in attacchi contro la popolazione civile, nel chiaro obiettivo di ampliare l’instabilità di uno Stato semi fallito.
Uno Stato semi fallito che si prepara, però, alle elezioni del 12 maggio quando manca quasi del tutto una strategia nazionale per la riorganizzazione politica delle zone liberate. A due anni dalla liberazione di Ramadi, ad un anno e mezzo dalla ripresa di Fallujah e a undici mesi da quella di Mosul, le aree – per lo più sunnite – strappate al giogo dell’Isis non sono ripartite. Scarsa ricostruzione, scarso coinvolgimento della popolazione locale e permanenza ai vertici locali di figure politiche invise alle comunità perché considerate corrotte e incapaci.
Eppure si va al voto. Ieri il premier al-Abadi ha annunciato la sua ri-candidatura a capo di una coalizione che accolga le diverse anime dello spettro politico, nel tentativo di superare le divisioni settarie. Ma allo stesso tempo accoglie il sostegno di uno dei più potenti gruppi sciiti legati all’Iran, le milizie Badr, provocando le ire del leader religioso sciita Moqtada al-Sadr. In lista ci saranno anche Hadi al-Amiri, il capo dell’organizzazione Badr, e Ammar al-Hakim, fino allo scorso anno capo del Consiglio supremo islamico.
La coalizione si chiamerà Alleanza per la Vittoria e non comprenderà tra le sue fila l’ex primo ministro al-Maliki che si candiderà anch’egli alle elezioni politiche con il partito State of Law. Non si sa se correrà anche al-Sadr, impegnato da anni ormai nella costruzione di un’immagine nuova di sé, quella di leader nazionale e non settario, che guarda al Golfo più che all’Iran e che si fa promotore della lotta alla corruzione interna.
Al-Sadr ha duramente attaccato la decisione di al-Abadi, definendola frutto di un “accordo politico aberrante” perché comprende quelle milizie sciite, le unità di mobilitazione popolare, responsabili sì della liberazione di ampie fette di territorio ma anche di violenze sulla popolazione civile. Nena News