Lunedì il parlamento all’unanimità ha votato per impedire al premier di portare avanti le riforme da solo. Dietro il fantasma dell’ex al-Maliki e del sistema clientelare che in questi anni ha garantito il proliferare di autorità parallele allo Stato.
della redazione
Roma, 4 novembre 2015, Nena News – Le riforme del premier al-Abadi potrebbero non vedere la luce. Il parlamento iracheno lunedì ha votato all’unanimità per impedire al primo ministro di procedere con le tanto attese riforme istituzionali senza prima l’approvazione parlamentare. Uno scontento che ha investito anche il partito di al-Abadi, Stato di Legge: la scorsa settimana 60 parlamentari del partito hanno minacciato di togliere il proprio appoggio al pacchetto di riforme se fosse mancata ancora la consultazione interna.
Tutto lo spettro parlamentare iracheno (328 parlamentari) accusa il premier di violare la costituzione, cercando di bypassare le camere. Tra le misure promosse dal primo ministro e che, dopo mesi di annunci, non si sono ancora concretizzate, c’era la cancellazione delle poltrone di vice presidenti e di vice primi ministri (che farebbe perdere il posto anche all’ex premier al Maliki), il taglio degli stipendi per i dipendenti governativi, il taglio del 45% dei compensi dei parlamentari, l’allontanamento di funzionari corrotti o incompetenti.
Con un obiettivo chiaro: combattere il sistema di corruzione che pervade ogni settore delle istituzioni, ogni ufficio, e che ha fatto dell’Iraq uno dei paesi più corrotti al mondo. Un clientelarismo che si traduce nell’ampia incompetenza di molti dipendenti pubblici e rappresentanti delle istituzioni che sta bloccando il già difficile cammino verso la ricostruzione del paese post-invasione Usa.
Se prima la colpa veniva addossata all’ex primo ministro Maliki, messo al potere dagli Stati Uniti, e fautore di un sisema capillare di clientelismi e corruzione, oggi a fermare le tanto anelate riforme è l’intero parlamento. L’ennesimo stop ad una rivoluzione interna necessaria a combattere i mali intrinsechi del sistema politico iracheno, fondato su settarismi (le cariche sono distribuite in base all’appartenenza religiosa ed etnica) e scarsa trasparenza, su poteri ufficiosi e paralleli a quelli statali che usano le istituzioni per distribuire favori e garantirsi consenso. Le conseguenze sono visibili: dopo otto anni di invasione Usa, Baghdad non è mai stato in grado di ricostruire il paese, di fornire servizi efficienti alla popolazione, di rilanciare un’economia devastata. E, oggi, di reagire con efficacia alla minaccia dell’Isis, che occupa un terzo del paese.
A premere sull’acceleratore avevano provato ad agosto e settembre i cittadini: migliaia di sciiti sono scesi in piazza per settimane nelle città di Baghdad, Najaf, Karbala, Bassora, Nassiriya, montato tende di protesta e affrontato la polizia per chiedere riforme che trasformassero il volto dell’Iraq. Basta settarismi, basta corruzione, basta disoccupazione strutturale e mancata redistribuzione della ricchezza: questo ha chiesto un movimento popolare, di base, formato da laici, liberali, religiosi, comunisti, nazionalisti, da studenti, donne, lavoratori.
La bocciatura palese del parlamento al premier non preannuncia un futuro positivo: il timore di molti è che si apra la strada alla sfiducia o alla rimozione del premier, a partire proprio dal suo stesso partito. A cui forse i tentativi di al-Abadi di soffocare le divisioni settarie cercando una conciliazione interna tra le diverse anime irachene (kurdi, sciiti e sunniti) appaiono come un modo per togliere quel potere ufficioso che i politici iracheni usano per mantenere le loro posizioni.
“Quello che è successo oggi [lunedì, ndr] è un campanello d’allarme di ritiro della fiducia al primo ministro e al governo – ha commentato Hussein al-Maliki, parlamentare di Stato di Legge – Noi siamo d’accordo con le riforme ma queste devono essere realizzate all’interno della costituzione e non al di fuori e non bypassando il parlamento”.
A preoccupare è il ruolo svolto dall’ex premier al Maliki, oggi uno dei vice presidenti. La protesta parlamentare è nata proprio dalla sua decisione – adottata poi dagli altri vice presidetni – di ignorare la cancellazione della loro poltrona e di restare negli uffici. Il potere di cui gode al-Maliki dopo otto anni al potere è consistente ed investe tutto il paese, grazie alla rete clientelare costruita all’interno delle istituzioni civili e militari. E potrebbe mettere in serio pericolo il futuro del paese. Nena News