L’Isis avanza nella provincia di Anbar, le forze militari si ritirano. Almeno 50 morti ieri in attentati nella capitale, circondata all’esterno e colpita all’interno. La Turchia presenta la sua idea di zona cuscinetto in Siria.
dalla redazione
Roma, 17 ottobre 2014, Nena News – Baghdad è sotto assedio. Un assedio anormale: circondata all’esterno, a distanza, e colpita all’interno con le autobombe. L’Isis stringe il controllo sulla provincia di Anbar, sulle strategiche città di Fallujah e Ramadi, avvicinandosi minacciosamente alla capitale. Dentro ad essere colpiti sono i quartieri sciiti, da giorni ormai target quotidiano di attentati suicidi.
Gli ultimi ieri: almeno 50 persone sono rimaste uccise in una serie esplosioni rivendicate dallo Stato Islamico nei quartieri di Dolaie, Talibiyah, Hurriyah, Mahmoudiya e Shula. Sono 162 le vittime in meno di una settimana, dalla scorsa domenica, in attacchi perpetrati in tutto il paese.
All’avanzata dell’Isis – nonostante gli Stati Uniti continuino a dire che Baghdad non è minacciato – si contrappone un esercito governativo allo sbando. Nonostante abbia avuto oltre 4 mesi per abituarsi all’idea di dover combattere una forza disfunzionale come quella del califfato, l’esercito iracheno pare incapace di reagire. Dopo la presa della base militare di Heet – contenente armi e munizioni di cui gli islamisti hanno fatto nuovamente incetta – e dei villaggi circostanti, i comandi dell’esercito hanno preferito ritirare alcune unità per dispiegarle fuori Anbar. Ieri si sono limitati a imporre il coprifuoco su Ramadi, il capoluogo provinciale, ormai per il 60% nelle mani dell’Isis: le bandiere nere sventolano su stazioni di polizia e uffici governativi, mentre pattuglie islamiste controllano le strade.
La città, attaccata su tre fronti, sembra essere stata abbandonata a se stessa. Al posto dell’esercito sono scese in campo le milizie sciite informali, su ordine di Baghdad, a coprire il gap delle forze ufficiali. Se Ramadi cade, se Fallujah cade, all’Isis sarà garantito il controllo totale del corridoio di territorio lungo il confine siriano – facilitando ulteriormente il passaggio di armi e miliziani – e dell’anello intorno la capitale, soprattutto dopo l’occupazione di Amriyat al-Fallujah, comunità chiave perché a soli 50 km da Baghdad e vicinissima alla città sciita di Karbala (considerata da Teheran la linea rossa che l’Isis non può scavalcare).
L’altra strategia delle forze militari governative è il taglio dell’elettricità. Baghdad ha optato per “massive riduzioni” di corrente elettrica nelle aree controllate dall’Isis, così da creare danni economici allo Stato Islamico. Si rischia però un effetto contrario: la maggior parte delle comunità in questione sono sunnite e già da anni accusano il potere centrale di discriminazione e marginalizzazione politica. Abbandonarle al loro destino e “punirle” con un ulteriore taglio dei servizi non farà che gettarle nelle braccia dell’Isis, inasprendo il sentimento settario che insanguina l’Iraq.
Leggermente migliore la situazione a nord della Siria dove i combattenti curdi, sostenuti dai raid mirati della coalizione, hanno frenato l’avanzata islamista a Kobane, costringendo l’Isis a ritirarsi da alcune aree a ovest della città curda. Oggi il Dipartimento di Stato ha confermato quanto riportato due giorni fa dai funzionari curdi, ovvero “conversazioni attraverso intermediari con il Pyd (il Partito di Unione Democratica, vicino al Pkk)” e quindi un coordinamento delle attività militari anti-Isis.
Nonostante le piccole vittorie, i curdi chiedono però più armi e munizioni. L’unica via di passaggio resta la Turchia che ha però chiuso ermeticamente i confini. Non si passa, né per andare in territorio turco né per entrare a Kobane. Ieri il premier turco Davutoglu ha specificato che il passaggio è vietato ai cittadini turchi, “ma se i siriani vogliono andare [a combattere a Kobane, ndr], per loro la frontiera è aperta”. Si aprirà forzatamente anche a 150 curdi siriani arrestati in Turchia per legami con il Pkk: il governo di Ankara sta valutando la deportazione a Kobane.
Le mire turche sono ormai trasparenti: ieri il primo ministro ha disegnato la zona cuscinetto che immagina al nord della Siria (da Latakia a Jarabulus fino a Kobane, dal Mediterraneo alla frontiera con l’Iraq) e che insiste perché la coalizione guidata dagli Usa gli conceda. Sarà “una zona umanitaria sotto il controllo militare”, ha tenuto a precisare Davutoglu, ovvero un’area dove concentrare i rifugiati siriani e magari anche addestrare le opposizioni al presidente siriano Assad, il vero target turco. Nena News