Nel decimo anniversario dalla rivoluzione dei gelsomini, tantissimi giovani scendono in piazza nelle città tunisine, con identiche richieste: lavoro, uguaglianza sociale, servizi. La crisi economica morde: aumenta il numero di chi cerca futuro via mare e anche quello di chi vorrebbe il ritorno di un regime autoritario
di Melissa Aglietti
Roma, 26 gennaio 2020, Nena News – L’ora della collera è scesa su tutta la Tunisia. Sfidando il coprifuoco, imposto dalle 20 alle 5 – ma fissato dalle 16 alle 5 nei giorni dell’anniversario della rivoluzione dei gelsomini – i manifestanti si radunano nelle strade e nelle piazze sacre della rivoluzione per urlare la loro rabbia. “Il popolo vuole la caduta del sistema”, gridano, ripetendo gli slogan della rivolta del 2011.
Pochi striscioni, tanti ragazzi e laureati che della thawrat al karama, la rivoluzione della dignità, ricordano solo qualche particolare. Come comunicato dalle autorità tunisine, gli arresti sono più di mille e le persone fermate hanno un’età compresa tra i 15 e i 25 anni. Dal 14 gennaio scorso, si scende in piazza con rabbia, a volte violenta, tanto che i proprietari dei negozi lamentano vetrine rotte e saccheggi.
Si protesta almeno in quindici località della Tunisia, tra cui la capitale Tunisi, per le misure adottate dal governo in materia sanitaria che sembrano voler mettere a tacere gli scioperi e le manifestazioni in programma. Perché nel Paese nordafricano, che della rivoluzione dei gelsomini aveva fatto un marchio di fabbrica da esibire come esempio ai suoi vicini, è tornata la fame: di occupazione, di giustizia sociale, di riforme strutturali che attenuino la disuguaglianza tra zone rurali e urbane.
Insomma, democrazia e diritti umani non hanno avuto ripercussioni sulla vita economica e sociale della Tunisia – uno choc per la società civile, che a dicembre protestava per il riconoscimento dei suoi martiri durante la rivoluzione. Tanto che adesso sono in molti ad avere nostalgia del potere forte e forse rassicurante di uno Stato autoritario come quello portato avanti da Zine El Abidine Ben Ali, allontanato dal potere il 14 gennaio 2011, dopo 24 anni alla guida del Paese. Una voglia che fa volare nei sondaggi Abir Moussi, del Parti destourien libre, e donna di fiducia dell’ex regime.
Intanto la disoccupazione sale al 15%, 36.6% se si guarda a quella giovanile, il debito pubblico si attesta sui 5 miliardi di euro, mentre, sullo sfondo, si alternano governi incapaci di mantenere sotto controllo il mosaico di forze politiche che rende la Tunisia un toro indomabile: dal 2011 si sono succeduti ben sette governi. La pandemia ha messo in ginocchio il Paese, con un bilancio di 180mila contagi e circa 5.700 vittime su una popolazione di 12 milione di abitanti, con un significativo aumento del numero dei contagi in tutti i governatorati. Il coronavirus ha distrutto un settore fondamentale, quello del turismo, già in crisi a causa del terrorismo. E il Covid-19 ha guidato l’esodo di circa 12.883 migranti tunisini in Italia. Più del quintuplo rispetto al passato.
Nel frattempo, alle manifestazioni fanno da contorno le violenze della polizia, mai addolcita in tutti questi anni. In un video pubblicato su Twitter, si vede un agente sparare un gas lacrimogeno all’interno della casa di un uomo, mentre a Siliana, nel nord del Paese, un pastore è stato strattonato dalla polizia perché le sue pecore erano troppo vicine ai palazzi governativi.
I media locali, però, preferiscono concentrarsi sulle violenze dei manifestanti e sui saccheggi, piuttosto che sulle ragioni delle proteste, paragonando chi scende in piazza ai black bloc. E c’è chi, come il presidente Kais Saied, cede alle fantasie del complotto, affermando di non escludere che le manifestazioni siano orchestrate da terzi. A testimonianza di una classe politica incancrenita, incapace di prendersi le sue responsabilità e ancora intenta a compiacere le vecchie forze del regime. Nena News