Ad affermarlo è un rapporto pubblicato dalla Business and Human Rights Resource Center (Bhrrc). Secondo il documento, decine di compagnie giordane e libanesi del settore dell’edilizia – finanziate anche da gruppi internazionali – non tutelano i diritti dei propri impiegati, né dal punto di vista salariale, né rispetto alle condizioni di sicurezza
della redazione
Roma, 4 dicembre 2018, Nena News – I migranti e i rifugiati che lavorano nel settore dell’edilizia in Giordania e in Libano hanno poche tutele lavorative. Ad affermarlo è uno studio pubblicato ieri dal Business and Human Rights Resource Center (Bhrrc) che ha sede a Londra e a New York. Secondo il Bhrrc, decine di compagnie edili che lavorano con progetti finanziati da donatori internazionali nei due paesi mediorientali non rispettano i diritti dei propri lavoratori: questi, per lo più rifugiati siriani, hanno infatti salari bassi, devono pagare tasse per essere reclutati e operano in condizioni pericolose. A monte sta il fatto che molti di loro non hanno il permesso di lavoro e dunque sono categorie di lavoratori particolarmente facili da ricattare e sfruttare. Se ciò è possibile, va quindi precisato, è perché le politiche dei due stati lo permettono: le condizioni di “clandestinità” (semi o totale) in cui Beirut e Amman hanno posto migliaia di persone presentate nel dibattito pubblico solo come “fardello sociale” sono un assist troppo ghiotto per i datori di lavoro locale (non solo nel campo dell’edilizia) per non essere sfruttato. Quest’ultimi, approfittando dello status a rischio dei propri lavoratori, fanno nei fatti ciò che vogliono di questa umanità disperata e malvista socialmente.
Nel suo documento, il Bhrcc osserva come la “profonda disuguaglianza di potere tra impiegato e datore di lavoro in questo settore sia allarmante e pericolosa, soprattutto alla luce del fatto che non vengano applicate le leggi del lavoro che potrebbero fornire qualche protezione”. Sul banco degli imputati ci sono però anche i finanziatori stranieri che non operano i dovuti controlli sulle aziende su cui investono: più della metà delle 38 compagnie trattate nel rapporto sono finanziate da gruppi esteri. Tra questi, riferisce la Reuters, ci sono la Società finanziaria internazionale della Banca Mondiale (IFC), la Banca europea per la Ricostruzione e sviluppo (Ebrd) e l’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale (USAID).
Alle compagnie edili giordane e libanesi il Business and Human Rights Resource Center ha rivolto perciò un invito affinché si “accertino che i lavori creati dai loro progetti di costruzione, creino condizioni di lavoro decenti e sicure che garantiscano un salario minimo piuttosto che abusi e povertà”. Non solo: per il Bhrcc le organizzazioni dovrebbero richiedere alle compagnie dell’edilizia di “adottare e rendere pubblici [il rispetto dei] diritti umani” come condizione per ricevere le donazioni.
Per quanto lodevole, lo studio non scopre nulla di particolarmente nuovo: del resto i gruppi finanziatori internazionali conoscono da tempo la realtà di sfruttamento dei rifugiati. Non sorprende, a tal proposito, come sempre ieri l’Ifc e l’Ebrd abbiano promosso nuove linee guide per aiutare le compagnie private e gli investitori a porre fine alla schiavitù moderna nei Paesi in via di sviluppo.
Del resto lo stesso Alto Commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr) aveva già lanciato l’allarme in Libano qualche tempo fa: sono circa 37.000 i bambini rifugiati siriani che lavorano nel Paese dei Cedri. Nena News