Centinaia di oggetti raccolti in una stanza tra i vicoli bui del campo compongono il mosaico della storia palestinese, dal mandato britannico al massacro del 1982
testo e foto di Sonia Grieco
Beirut, 31 marzo 2016, Nena News – C’è persino un’ascia usata nel massacro di Sabra e Shatila, nel 1982, tra gli oggetti esposti nel Museo della Memoria di Shatila, campo profughi palestinese di Beirut. Un piccolo spazio in un vicoletto buio del campo, aperto nell’aprile 2005 per raccogliere pezzi della storia palestinese.
Gli oggetti che i palestinesi fuggiti durante la Nakba (1948) e gli esodi successivi hanno portato con sé in Libano, ma anche quelli raccolti nei decenni di vita nel Paese dei cedri, testimonianze della storia e del patrimonio culturale di un intero popolo. Sugli scaffali ci sono utensili da cucina, attrezzi agricoli, servizi da tè, lampade a olio, macchine da cucire, libri e soprammobili vari. Ogni oggetto ha una sua storia ed è stato donato al museo da un palestinese che vive in uno dei dodici campi del Libano.
L’idea del museo è venuta oltre dieci anni fa a Mohammed al Khatib, medico che vive nel campo, che con l’aiuto del fratello Ali è riuscito a raccogliere centinaia di pezzi, molti aspettano di trovare spazio nel museo composto da una grande stanze. “Israele ha preso la nostra terra e prova a derubarci anche del nostro patrimonio culturale. Leggo di ristoranti israeliani che spacciano l’hummus o il felafel come piatti ebraici, ma queste bugie non possono cancellare la nostra storia e la nostra cultura”, dice Mohammed. “Ho pensato che forse all’estero credono che i palestinesi non esistono, ma questo museo è la prova della nostra esistenza e della nostra lunga storia. È la prova che la nostra cultura è viva e resiste”.
Nel Museo della Memoria di Shatila trovano posto anche pezzi, come l’ascia, che non sono palestinesi, ma che rappresentano momenti della storia palestinese, della sua diaspora e delle sue tragedie. Tasselli di un mosaico antico, che non bisogna dimenticare, ripete Mohammed. Tra gli oggetti cui è più affezionato c’è un piatto di alluminio dell’esercito britannico dei tempi del mandato, donatogli da un anziano signore che aveva lavorato con i militari britannici quando era un ragazzo e viveva in Palestina. C’è anche una falce portata in Libano dal villaggio della famiglia di Mohammed, cui è particolarmente legato.
“Tutto è iniziato da due tazzine”, racconta Mohammed. “È stato un lavoro faticoso e lungo, ma poi le persone mi hanno incoraggiato a continuare. All’inizio ho chiesto a un’anziana signora se avesse qualcosa della Palestina. Le ho spiegato che volevo aprire un museo e lei dopo qualche giorno è tornata con due tazzine. Quando mi sono offerto di pagarle, mi ha risposto che la Palestina è di tutti i palestinesi e voleva contribuire”.
In questo luogo del ricordo, nel cuore del caotico campo di Shatila, aperto nel 1949, la memoria individuale si intreccia con quella collettiva. Molti abitanti del campo, la sera, vengono qui per bere insieme una tazza di tè o fare una partita a scacchi. E parlare, quasi sempre, della Palestina. Ma la memoria va spesso a un passato più recente, al massacro di Sabra e Shatila del 1982, quando centinaia di abitanti (si parla di 3.000 persone) del campo e del vicino quartiere di Sabra furono trucidati per tre giorni (dal 16 al 18 settembre) dai falangisti, mentre l’esercito israeliano, che aveva invaso il Libano qualche mese prima, illuminava il campo dall’esterno.
Oggi a Shatila vivono circa 23 persone, non soltanto palestinesi, ma anche molti migranti. Centinaia di palestinesi siriani hanno trovato rifugio qui e negli altri campi palestinesi del Libano. Dall’inizio della guerra in Siria, la popolazione di Shatila è quasi raddoppiata e le condizioni di vita sono peggiorate. I servizi scarseggiano e la povertà è diffusa. Nena News
Sonia Grieco è su Twitter: @soniagrieco