Con l’arrivo della stagione fredda le già difficili condizioni di vita nel campo profughi palestinese in Libano si aggravano ulteriormente. Una situazione che va avanti ormai da 67 anni.
foto e testo di Valentino Armando Casalicchio
Beirut, 23 dicembre 2015, Nena News - Vicoli stretti, odore di narghilé alla menta, ragnatele di cavi elettrici ad altezza uomo: questa è Shatila, uno dei due campi profughi nella periferia sud di Beirut. Qui vivono da 15 a 20 persone al metro quadro.
Costruito per ospitare “temporaneamente” i palestinesi della Nakba (“catastrofe”, termine con cui si indica l’esodo palestinese del 1948), il campo di Shatila è stato testimone di tutti i problemi della regione mediorientale. Durante la guerra civile libanese, il campo ha visto due massacri: nel 1982 il “Massacro di Sabra e Shatila”, compiuto dalle Falangi cristiano-libanesi; nel 1985 la “guerra dei campi”, compiuto dalle milizie sciite del Movimento Amal. Oggi vivono dalle 15mila alle 20mila persone in un solo chilometro quadrato; un numero cresciuto soprattutto negli ultimi 5 anni a causa della guerra civile in Siria, la quale ha causato l’esodo di siro-palestinesi, siriani e dei returnees, emigranti libanesi ora ritornati in patria.
I numeri aumentano quotidianamente, ma lo spazio per costruire rimane lo stesso dal 1949, l’unica soluzione, dunque, è edificare in cima agli edifici esistenti. Ma cosa significa vivere a Shatila? “I problemi aumentano con l’inverno” dice Jamila, giovane donna che lavora per una Ong sorta dopo i massacri dell’82.
Nonostante a Beirut non si raggiungano temperature basse, ogni volta che piove, nel campo è il caos: cavi elettrici penzolanti e rifiuti non smaltiti sono tra i principali rischi per la vita quotidiana a Shatila.
Non è solo la stagione invernale che porta rischi per la vita del campo, ma le scarse condizioni igieniche dovute all’eccessivo numero di persone (ogni abitante condivide la stanza con altre 8/10 persone) causano malattie infettive: tifo, meningite, morbillo ed epatite sono solo alcune fra le decine di patologie riscontrate a Shatila. L’UNRWA, l’agenzia ONU di soccorso per i rifugiati palestinesi, definisce “estremamente cattive” le condizioni sanitarie del campo.
I problemi non finiscono qui: i palestinesi in Libano, infatti, non hanno nessun diritto a sanità pubblica o istruzione; non è concesso loro di acquistare beni immobili; né di praticare 73 professioni, fra cui avvocato, medico, professore, autista di taxi. La loro vita, in definitiva, prosegue grazie all’auto-organizzazione, alle Ong locali e straniere, e all’UNRWA. La motivazione principale che spinge queste famiglie a resistere è la speranza di tornare nel proprio Paese; la speranza di uscire da una condizione “temporanea”, che dura dal 1949. Nena News
Articolo opportuno, informazione doverosa, grazie.
Peccato però per lo svarione numerico: 20 persone(mq non corrispondono a 20.000 persone/kmq, perché la proporzione fra mq e kmq non è 1/1000, ma 1/1.000.000.
Qual’è il numero giusto?
Comunque complimenti e grazie.