Dopo 20 anni e decine di migliaia di morti, Addis Abeba e Asmara hanno sospeso lo stato di guerra. Da una parte il nuovo corso etiope segnato dal premier Abiy Ahmed, dall’altra la dittatura eritrea che non pare mettersi in discussione
di Federica Iezzi
Roma, 14 luglio 2018, Nena News – L’Etiopia e l’Eritrea hanno ‘sospeso’ il loro stato di guerra, come parte di un accordo storico che promuove una stretta cooperazione in area politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza. Il repentino riavvicinamento mette fine a una lunga guerra fredda durata decenni sulle dispute di confine che hanno macchiato di rosso la terra del presidente eritreo Isaias Afewerki e del primo ministro etiope Abiy Ahmed.
Il duro antagonismo dei due Paesi del Corno d’Africa inizia quando l’Etiopia, respingendo di fatto una decisione delle Nazioni Unite, si rifiuta di cedere terre di confine all’Eritrea, dopo una guerra che uccise 80mila persone. Dunque qual è stata la causa principale del conflitto tra Etiopia e Eritrea per il quale la disputa di confine è servita come surrogato?
Entrambi i partiti al potere furono immersi in feroci lotte interne al potere subito dopo la fine della guerra del 2000, quando l’esercito etiope ottenne il sopravvento. Il conflitto ha avuto poi una lunga serie di cause tra cui questioni economiche e questioni di rivalità per l’egemonia regionale.
I precedenti governanti dell’Etiopia vivevano pacificamente con un confine non demarcato con l’Eritrea dal 1890 al 1936 (sotto il colonialismo italiano) e di nuovo dal 1941 al 1952 (sotto l’amministrazione militare inglese). Negli anni ’80 e ’90 leader rivoluzionari africani arrivarono al potere parlando di riforme e democrazia. Era un periodo in cui la guerra fredda, le guerre per procura degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica e l’apartheid in Sud-Africa erano agli strascichi finali e una nuova era nella politica africana era all’orizzonte.
La recente decisione di accettare pienamente l’accordo è stata la riforma più sorprendente mai annunciata dal primo ministro dell’Etiopia, entrato in carica solo lo scorso aprile. Tre anni di proteste incessanti, violenze e deterioramento dell’economia avevano portato l’Etiopia sull’orlo del collasso. Abiy ha lanciato rapidamente un’ondata di riforme, liberando giornalisti e figure dell’opposizione, sbloccando mezzi di stampa, dopo anni di proteste anti-governative.
Le linee telefoniche internazionali dirette tra Etiopia ed Eritrea sono state ripristinate per la prima volta dopo due decenni. Presto riapriranno le ambasciate e i voli aerei tra i due Paesi torneranno ad essere operativi. Mentre la leadership eritrea ha effettivamente accolto gli sforzi dell’Etiopia per normalizzare le relazioni, non ha preso alcun provvedimento per allentare la stretta sui media.
Questo spiega perfettamente lo scetticismo sceso tra la popolazione eritrea riguardo gli accordi di pace. Il presidente eritreo in precedenza aveva già investito forti promesse sull’industria mineraria, nominandola panacea ai mali del Paese. Eppure, gli standard di vita si sono solo ulteriormente deteriorati negli ultimi anni. Aveva illuso la fetta giovanile della popolazione sulle limitazioni della durata del servizio militare obbligatorio. Documento mai materializzatosi fino ad oggi.
Il popolo eritreo, a fronte di false promesse e disattese aspettative, pazienta disperatamente per la normalizzazione del commercio, l’apertura delle frontiere terrestri, la smilitarizzazione immediata, l’amnistia ad ampio raggio, la riconciliazione nazionale.
Non mancano le critiche nemmeno verso le riforme della leadership etiope. Ne sono un esempio l’etnia Irobos, minoranza che vive nella regione del Tigray in Etiopia, che potrebbe vedere parte dei propri territori in mano alla vicina Eritrea.
Per non parlare della questione Emirati Arabi Uniti. Questi ultimi si sono impegnati a depositare ingenti somme nella Banca Centrale dell’Etiopia come parte di un pacchetto di aiuti da tre miliardi di dollari. E’ evidente come accettando queste ampie facilitazioni, Abiy si schiera concretamente con l’Arabia Saudita e i suoi alleati nella crisi del Golfo in corso. Partecipare a questo power-play regionale può alla fine danneggiare le prospettive democratiche dell’Etiopia e danneggiare la credibilità di Abiy come leader africano indipendente.
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