Con la nostra rubrica del sabato dedicata all’Africa vi portiamo in Zimbabwe ad un anno dagli arresti domiciliari per l’ex presidente Robert Mugabe, nella Repubblica democratica del Congo in vista delle presidenziali e in Eritrea
di Federica Iezzi
Zimbabwe
È passato un anno dagli arresti domiciliari dell’ex presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, come parte di un’operazione militare, che ha permesso a Emmerson Mnangagwa di prendere il potere.
In una manifestazione senza precedenti, lo scorso novembre, centinaia di migliaia di cittadini hanno marciato per le strade, chiedendo le dimissioni dell’ex presidente.
Dopo l’inizio di un’udienza parlamentare di impeachment, Mugabe ha lasciato il governo, dopo quasi quattro decenni al potere.
Da quei giorni e dalla presa di potere di Mnangagwa non è cambiato molto nel Paese africano.
Nonostante le promesse di una nuova era, il ruolo sfocato dell’esercito nella governance dello stato e negli affari di partito, continua a destare preoccupazione. Non esiste ancora una netta separazione dei poteri tra stato, partito di governo e esecutivo. A questo si aggiunge il peggioramento dello stato dell’economia.
In seguito alle polemiche elettorali, gli Stati Uniti hanno rinnovato le sanzioni invitando il regime post-Mugabe a dimostrare maggiori sforzi verso le riforme. Parallelamente la Comunità Internazionale punta a promuovere attivamente la trasparenza e la responsabilità fiscale, che sostiene lo stato di diritto e la protezione dei diritti di proprietà.
Intanto, una commissione d’inchiesta indipendente, guidata dall’ex presidente sudafricano Kgalema Motlanthe, sta attualmente esaminando le violenze post-elettorali che hanno visto l’esercito schierato nelle strade della capitale Harare.
Repubblica Democratica del Congo
Felix Tshisekedi, leader del più grande partito di opposizione nella Repubblica Democratica del Congo (UPDS, Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale), insieme a Vital Kamerhe, leader dell’UNC (Unione per la Nazione Congolese), ha ritirato il suo consenso dagli accordi di Ginevra.
Accordi che avrebbero dovuto prevedere lo schieramento di un candidato congiunto nelle cruciali elezioni presidenziali del prossimo mese, inizialmente identificato in Martin Fayulu.
Il ritiro di Tshisekedi e Kamerhe priva il fronte di opposizione (Lamuka) di circa il 20% dei voti, decretandone di fatto il fallimento elettorale.
Manovre a favore di Emmanuel Ramazani Shadary del PPRD (Partito del Popolo per la Ricostruzione e la Democrazia), candidato appoggiato dall’attuale presidente Joseph Kabila.
Le prossime elezioni sono fondamentali per il futuro del Paese, che non ha mai sperimentato una transizione pacifica del potere da quando ha ottenuto l’indipendenza dal Belgio nel 1960.
Eritrea
Le Nazioni Unite hanno revocato le sanzioni all’Eritrea, nove anni dopo essere state imposte dalla stessa organizzazione internazionale.
La decisione dello scorso mercoledì, presa durante una riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, segue il riavvicinamento degli ultimi mesi tra l’Eritrea e la vicina Etiopia. La disputa tra i due Paesi prese vita nei primi anni ’90, quando l’Eritrea ottenne la sua indipendenza dall’Etiopia, causando l’inizio di una guerra sulle dispute di confine.
Un confine imposto dall’ONU nel 2002, che avrebbe avuto lo scopo di risolvere definitivamente la disputa, vide la dura opposizione dell’Etiopia. Nel 2009, l’ONU aveva imposto all’Eritrea un embargo sulle armi, in seguito alle accuse di sostenimento di gruppi armati in Somalia. Naturalmente il Paese negò aspramente tutte le accuse.
Pingback: FOCUS ON AFRICA | federicaiezzi