Nel 2021 la crisi del Sahel entra nel suo decimo anno. Nonostante la natura transnazionale del conflitto prolungato, ogni Paese dell’area ha sperimentato diversi modelli di violenza e successive trasformazioni
di Federica Iezzi
Roma, 17 luglio 2021, Nena News – Nel 2021 la crisi del Sahel entra nel suo decimo anno. Nonostante la natura transnazionale del conflitto prolungato, ogni Paese dell’area ha sperimentato diversi modelli di violenza e successive trasformazioni.
Sia l’Islamic State in the Greater Sahara (ISGS) che Jama’at Nusrat Al Islam Wal Muslimin (JNIM), gruppo affiliato ad al-Qaeda, hanno spostato i loro sforzi in aree geografiche adiacenti al Sahel, di fronte a forti pressioni militari nella regione di confine tra Niger, Burkina Faso e Mali (Liptako-Gourma).
Il rinnovato impegno nei conflitti locali ha consentito ai gruppi militanti jihadisti di ampliare il proprio raggio d’azione, riaffermare la propria influenza, mobilitarsi e ottenere risorse per una ristrutturazione. Quadro estremamente chiaro nelle regioni Tillaberi e Tahoua del Niger, nelle parti orientali del Burkina Faso e nel Mali centrale.
IL NIGER COMBATTE contro l’insurrezione di Boko Haram nel bacino del lago Ciad, l’insurrezione saheliana guidata dall’ISGS nel nord di Tillaberi e l’attività del JNIM nel sud-ovest di Tillaberi.
Dall’inizio del 2021, il paese è stato caratterizzato da una significativa instabilità. Una serie di omicidi su larga scala contro civili di etnia Djerma e Tuareg ha provocato la maggior parte dei decessi segnalati. Il numero di uccisioni attribuite all’ISGS, rappresenta il 66% di tutti i decessi per violenza politica organizzata in Niger nel 2021.
Tillaberi e Tahoua hanno una lunga e complessa genealogia di violenza legata a ribellioni, conflitti etnici e reti militanti e criminali. La striscia di confine tra le due aree e la regione di Menaka in Mali ha vissuto uno dei periodi più intensi di violenze interetniche.
Durante i discussi massacri del gennaio 2021 a Tchoma Bangou e Zaroumadareye, violenti scontri si sono susseguiti tra gli abitanti del villaggio di Djerma, che si opponevano all’ISGS, e i membri della comunità Fulani. L’etnia Fulani è risultata un bersaglio facile molto probabilmente a causa dei legami percepiti con i militanti, ma risultano proprio i Fulani quelli che sopportano il peso maggiore del capro espiatorio e della stigmatizzazione.
A DIFFERENZA DEL NIGER, IL BURKINA FASO HA VISTO una significativa riduzione dei decessi legati al conflitto nel Sahel, dal marzo 2020. Le operazioni congiunte tra il G5 Sahel (di cui il Burkina Faso fa parte) e le forze francesi, in particolare contro l’ISGS, sono rimaste costanti nell’area di confine dei tre stati. Questo ha indebolito notevolmente le capacità del gruppo ISGS, soprattutto nelle aree del centro-nord e dell’est del Burkina Faso.
I negoziati tra autorità burkinabé e JNIM all’inizio del 2020 hanno portato alla revoca dell’embargo sulla città settentrionale di Djibo, allo svolgimento delle elezioni presidenziali in condizioni di relativa calma, a episodi limitati di violenza.
Il fragile cessate il fuoco è crollato quando la violenza è divampata di nuovo in diverse regioni. A partire dal novembre 2020, nella città nord-orientale di Mansila, nell’area di Djibo e nella città nordoccidentale di Koumbr, scontri tra JNIM e FDS (Defense and security forces) hanno provocato lo sfollamento di migliaia di civili. Sono inoltre riemerse tensioni tra le comunità di etnia Fulani e Mossi a Kobaoua e Namssiguia.
I gruppi affiliati al JNIM nel Burkina Faso orientale hanno mostrato comportamenti diversi rispetto ai gruppi del medesimo orientamento in Mali. Per più di un anno, c’è stata una disconnessione tra il centro e la periferia all’interno dell’organizzazione JNIM. Le unità operano con estrema autonomia e sono modellate dai contesti e dalle circostanze locali.
I gruppi militanti in Burkina Faso si sono sviluppati in uno spazio geografico che si trova tra due poli di influenza in competizione. In generale, tra il JNIM, più pragmatico in Mali, e l’ISGS più estremo nella regione di confine tra Burkina Faso, Mali e Niger.
L’influenza jihadista in costante crescita nel Burkina Faso orientale ha esposto il vicino Benin alla minaccia di violenti scontri.
EPICENTRO DELLA CRISI DEL SAHEL RESTA IL MALI. Le operazioni militari su larga scala a guida francese che hanno accompagnato il lancio della Task Force Takuba non hanno indebolito la strategia dell’ISGS.
Nella regione centrale di Mopti, il JNIM ha perpetrato azioni violente contro le comunità etniche a maggioranza Dogon. Mentre nella vicina regione di Segou continua il conflitto tra le comunità Bambara e Fulani.
Dopo lunghi negoziati, che non sono riusciti a porre fine ai combattimenti, l’High Islamic Council of Mali (HCIM) è finalmente riuscito a raggiungere un delicato cessate il fuoco tra le parti nell’aprile 2021.
Tuttavia, nel 2020, le forze armate maliane (FAMa) hanno ucciso più civili dei gruppi militanti jihadisti e hanno commesso più violazioni dei diritti umani, come mostrano i dati dell’ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project) e delle Nazioni Unite (MINUSMA, marzo 2021).
La politica dirompente nella capitale Bamako ha messo a dura prova le relazioni Mali-Francia. Macron ha recentemente sospeso le operazioni militari congiunte e la cooperazione con il Mali, privando il Paese di una copertura aerea cruciale e di capacità di intelligence.
Le operazioni militari congiunte su larga scala delle forze francesi e del G5 Sahel si sono concentrate sulla regione di confine dei tre stati, allentando la morsa dei gruppi militanti jihadisti e indebolendo la loro presenza nell’area.
Sebbene gli accordi di pace locali, in assenza di uno sforzo globale, forniscano alle popolazioni una tregua almeno temporanea dalla violenza, tendono ad essere fragili e difficili da sostenere a lungo termine. Accordi infranti e cessate il fuoco, dopo periodi di intensa coercizione, sono stati seguiti da cicli di violenza maggiormente preoccupanti. Nena News
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