Diversi prigionieri di coscienza con doppia nazionalità hanno dovuto rinunciare alla cittadinanza egiziana per poter lasciare il paese
di un corrispondente del MEE*
* (Traduzione a cura di Valentina Timpani)
Roma, 26 gennaio 2022, Nena News – L’uscita di prigione dell’egiziano-palestinese Ramy Shaath dopo 900 giorni è stata un enorme sollievo per l’attivista e per la sua famiglia – ma ha avuto un prezzo.
Come molti prigionieri politici con passaporti stranieri in Egitto, la privazione della cittadinanza è stata una precondizione per il rilascio di Shaath il 6 gennaio. Si tratta di una misura che è stata denunciata da gruppi e difensori dei diritti umani, compresa la famiglia di Shaath.
“Nessuno dovrebbe essere costretto a scegliere tra la libertà e la cittadinanza. Ramy è nato egiziano, cresciuto come un egiziano, e l’Egitto è sempre stato e sarà sempre la sua patria; nessuna rinuncia sotto coercizione alla cittadinanza cambierà mai questo fatto”, ha affermato la famiglia in una dichiarazione.
Il 13 novembre 2014, il presidente Abdel Fattah el-Sisi emise un decreto (conosciuto come Legge n.140) che permetteva il rimpatrio degli stranieri incarcerati.
Questa mossa ha permesso alle autorità di rilasciare il giornalista di Al Jazeera Peter Greste, un cittadino australiano che era stato condannato a sette anni di prigione pochi mesi prima della sua scarcerazione.
La liberazione di Greste ha indotto il suo co-imputato, Mohamed Fahmy, di nazionalità canadese ed egiziana, a rinunciare alla cittadinanza nella speranza di essere rilasciato. Ma ciò non è accaduto fino a settembre 2015, quando lui e un altro giornalista di Al Jazeera, Baher Mohamed, sono stati scarcerati con una grazia presidenziale.
“Costringere qualcuno a rinunciare alla propria cittadinanza in cambio della libertà è un requisito arbitrario e una chiara violazione del diritto internazionale”, ha dichiarato Hussein Bayoumi, ricercatore egiziano presso Amnesty International, al Middle East Eye.
“A una richiesta del genere manca l’elemento del consenso, si avvicina di più alla revoca della cittadinanza, che per il diritto internazionale è possibile solo con misure molto rigide”, ha affermato, spiegando che la decisione non deve essere basata sulla discriminazione dovuta all’espressione pacifica dei diritti dell’individuo.
“Filosofia oppressiva”
La notizia del rilascio di Shaath ha innescato molti appelli alla liberazione di prigionieri politici che non hanno passaporti stranieri.
Sisi, al potere da quando nel 2013 depose con un colpo di stato il suo predecessore eletto democraticamente Mohamed Morsi, è stato accusato di aver incarcerato più di 60.000 tra le persone che lo criticano pacificamente. Ha giustificato quest’inasprimento con la scusa della “guerra al terrorismo”, e ha negato che il paese abbia dei prigionieri politici.
“La domanda ora è come liberare le decine di migliaia di prigionieri politici che hanno solo la nazionalità egiziana”, ha detto Ahmed Mefreh, un avvocato egiziano, a capo di Committee for Justice, il gruppo per i diritti umani con base a Ginevra. “I detenuti egiziani non hanno la possibilità di scegliere la libertà in cambio della rinuncia alla cittadinanza, sebbene molti di loro accoglierebbero questa opportunità se ce l’avessero”.
A luglio 2020, lo studente di medicina americano-egiziano Mohamed Amashah ha rinunciato alla nazionalità egiziana ed è stato poi rilasciato dopo 486 giorni di detenzione arbitraria, a seguito della sua partecipazione a una manifestazione al Cairo in cui teneva un manifesto che chiedeva la “Libertà per tutti i prigionieri”.
Analogamente, il sostenitore dei diritti umani egiziano-americano Mohamed Soltan fu rilasciato nel 2015 in cambio della rinuncia alla nazionalità egiziana. Stava scontando un ergastolo legato al caso conosciuto nei media come “sala operativa dei sit-in a Raba’a”. Soltan, secondo il suo avvocato, non voleva rinunciare alla cittadinanza, ma non ha avuto altra scelta.
Nel commentare il rilascio di Shaath, Soltan ha scritto: “Scegliere tra la libertà e la cittadinanza è una scelta facile, perché la libertà viene sempre per prima e per sempre, e l’appartenenza al tuo paese non diminuisce perché ce l’hai nel cuore”.
Ha tuttavia aggiunto che il governo egiziano, con la pretesa che i prigionieri rinuncino al loro diritto di cittadinanza, “enfatizza la sua filosofia oppressiva: essere un cittadino significa essenzialmente che non sei libero!”
Soltan, dopo la sua liberazione, ha lanciato l’ong Freedom Initiative per fare una campagna in favore del rilascio dei prigionieri di coscienza in Egitto e nel Medio Oriente. Il gruppo ha compiuto diversi sforzi per liberare Amashash l’anno scorso, ha riferito Soltan.
Secondo Hussein di Amnesty, la pretesa di revocare la nazionalità è un tentativo di circumnavigare la legge egiziana n.26 sulla cittadinanza (1975). Nonostante la legge in sé contravvenga al diritto internazionale, Hussein dice: “Obbligando gli individui a rinunciare alla cittadinanza, almeno su carta volontariamente, le autorità cercano di evitare la necessità di andare incontro a ciò che la legge richiede”.
Non tutti colori che hanno una doppia cittadinanza sono stati tuttavia rilasciati. Il cittadino americano-egiziano Moustafa Kassem è morto mentre era in arresto a gennaio del 2020, dopo aver iniziato uno sciopero della fame per chiedere di essere rilasciato, e nonostante la sua richiesta alle autorità di permettergli di rinunciare alla cittadinanza, ha raccontato al MEE una fonte egiziana informata sul caso.
Kassem era detenuto da agosto 2013, e condannato a quindici anni di prigione con l’accusa di aver preso parte alle proteste di Rabaa contro il colpo di stato, in seguito a un processo collettivo.