Secondo sei ong egiziane, nel reparto Istiqbal della famigerata struttura detentiva del Cairo i prigionieri non toccano il cibo da domenica per protestare contro le dure misure disciplinari implementate dalle autorità carcerarie
della redazione
Roma, 16 ottobre 2020, Nena News – Uno sciopero di massa per protestare contro i maltrattamenti subiti in carcere. E’ quanto sta avvenendo nell’area Istiqbal del complesso penitenziario di Tora (a sud del Cairo). A dare l’annuncio sono state l’altro giorno sei ong egiziane. “Le organizzazioni hanno ricevuto informazioni confermate dalle loro fonti che i detenuti hanno iniziato lo sciopero della fame da domenica e hanno smesso di mangiare il cibo fornito dall’amministrazione carceraria nonostante dipendano solo da questo a causa delle misure di precauzione prese dallo scoppio della pandemia di Covid-19”, si legge in un comunicato delle organizzazioni. Secondo le fonti contattate dalle ong, a prendere parte allo sciopero della fame sarebbe il 75% delle celle della Prigione Istiqbal (l’intero complesso cella “A”, il 70% di quelle “B”, il 50% del “C” e l’intero blocco “D”).
La decisione dei prigionieri è nata in seguito all’aggressione con scariche elettriche subita da due detenuti a inizio ottobre. I due, scrivono le organizzazioni non governative, sarebbero stati trasferiti dai secondini in “celle disciplinari” e spogliati (“ad eccezione della biancheria intima”). L’amministrazione di Tora avrebbe imposto anche altre misure restrittive contro il resto dei detenuti: rimozione del cibo e degli oggetti personali dalle celle, divieto di poter far uso della clinica e della mensa della prigione, manette ai detenuti durante le visite dei familiari.
I prigionieri, riferiscono ancora le ong, chiedono pertanto un’indagine per gli abusi subiti dai due prigionieri, ma anche la fine dei trattamenti “umilianti” che tutti loro subiscono all’interno delle mura carcerarie. Per comprendere quanto sta accadendo bisogna però ritornare indietro di 3 settimane e precisamente al 23 settembre quando 4 detenuti e 4 ufficiali della sicurezza sono stati uccisi nel reparto di massima sicurezza (“Aqrab”) della prigione. Secondo gli attivisti egiziani, quei disordini sanguinosi sarebbero stati una reazione all’esecuzione di 15 prigioni politici avvenuta a inizio settembre.
Il rischio, sottolineano ora le ong, è che “le misure arbitrarie” adottate dalle amministrazioni penitenziarie egiziane potrebbero essere un “preludio ad un giro di vite odioso contro i detenuti politici”. Cosa che starebbe già avvenendo in “diverse altre prigioni”. Il condizionale è d’obbligo perché cosa accade all’interno delle celle egiziane è ben poco noto all’esterno: le autorità locali non permettono infatti ispezioni indipendenti e il governo affronta la questione con estrema segretezza.
Ma la violenza subita dai due carcerati denunciata dalle ogn è stata solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso di ingiustizie già colmo. Alla base, c’è l’affollamento delle prigioni egiziane. Nel maggio del 2015 il Consiglio nazionale per i diritti umani (organismo statale) sottolineava come le stazioni di polizia e le prigioni presentassero un surplus di detenuti pari rispettivamente al 300% e al 160%. Elementi che non devono sorprendere se si pensa che, dal golpe del 2013 del presidente al-Sisi, le organizzazioni umanitarie e gli attivisti di opposizione stimano in almeno 60.000 il numero dei prigionieri politici rinchiusi nelle carceri del Paese. Numeri che al-Sisi nega completamente perché, come spiegò candidamente l’anno scorso in un’intervista al programma statunitense “60 Minutes”, “in Egitto non ci sono prigionieri politici”.
Un dato ancora più inquietante sulla situazione carceraria in Egitto lo offre però la Commissione di giustizia di stanza a Ginevra secondo la quale, a partire dal luglio del 2013, sono morti nelle prigioni egiziane quasi 1.000 detenuti. La maggior parte di loro per “negligenza medica”. Nena News