Centinaia di donne egiziane si raccontano sui social network in una nuova campagna contro molestie e violenze sessuali
di Rosa Schiano
Roma, 26 aprile 2017, Nena News – Un hashtag per rompere il silenzio.“La mia prima esperienza di molestia sessuale è stata all’età di…” (l’hashtag arabo è #أول_محاولة_تحرش_كان_عمري), diventato virale su Facebook e Twitter, è l’hashtag utilizzato da centinaia di donne egiziane che hanno deciso di raccontare le proprie storie personali e le molestie sessuali subite quando erano giovani o bambine e che spesso hanno coinvolto parenti e insegnanti.
A partecipare alla campagnac’è anche qualche uomo vittima di abusi. L’hashtag ha permesso la condivisione di storie scioccanti e che le donne mai hanno raccontato per sensi di colpa o per timore di essere rimproverate dai familiari. Violenze e molestie fisiche o verbali che, affermano psicoterapeuti, possono portare danni psicologici, tra cui depressione e ansia, a seconda dell’abilità della persona di gestire l’evento traumatico e della sua gravità.
L’iniziativa – che ha avuto un tale seguito da spingere diversi programmi televisivi a invitare alcune donne a condividere le proprie storie – è arrivata sulla scia dell’indignazione pubblica sul numero crescente di casi di molestie sessuali, anche a danno di minori, riportati dai media, tra cui un’aggressione avvenuta a fine marzo nella città di Zagazig a danni di una diciannovenne che aveva partecipato ad una festa di matrimonio di un’amica e che si stava dirigendo a casa quando è stata assalita da un diciassettenne che ha tentato di strapparle i vestiti, raggiunto poco dopo da decine di uomini con l’intenzione di partecipare o assistere alla violenza. La polizia, secondo quanto riferito dai media locali, ha dovuto sparare dei colpi in aria per allontanarli e il giovane sarebbe stato arrestato.
I racconti delle donne rivelano esperienze brutali. Ciò che è emerso però è che spesso a queste esperienze corrispondono reazioni troppo flebili da parte dei genitori delle vittime alcune delle quali hanno dichiarato di essere state colpevolizzate dai propri genitori per non averli informati prima o per aver permesso all’aggressore di molestarle. Qualche volta, i genitori non hanno creduto alle storie raccontate dai propri figli, soprattutto quando il molestatore era un amico stretto o un parente considerato persona di fiducia. Una giovane donna ha raccontato che sua madre, alla quale aveva detto di aver subito da bambina un tentativo di molestia, le aveva risposto chiedendole se qualcuno dei vicini l’avesse vista. Donne che hanno subito abusi sin dalla tenera età sono rimaste in silenzio per anni quando le violenze avvenivano tra le mura domestiche. Diverse hanno raccontato di essere state punite da genitori e costrette al silenzio o semplicemente di avervi trovato indifferenza.
Alcuni ritengono che l’aumento degli abusi sessuali sui minori, la cui età va soprattutto dai tre ai nove anni, sia dovuto principalmente a un problema di cultura e attribuiscono ai media la responsabilità del decadimento culturale e dell’assenza di principi e valori. Nel frattempo, diverse associazioni locali lavorano per contrastare il problema, come la Ong egiziana Safe che tenta di promuovere una maggiore sensibilizzazione, incoraggiando le vittime degli abusi a parlare e offrendo loro sedute di psicoterapia, o come la Ong Not Guilty for Family Development che lavora con bambini nelle scuole e attraverso il gioco e la musica li educa su cosa dovrebbero fare in caso di avvicinamenti inappropriati, forma gli educatori, sensibilizza genitori e nonni.
Il timore delle denunce. Quello delle molestie è un fenomeno diffuso e ben conosciuto, ma il timore di ripercussioni ha spesso frenato le vittime dal denunciare. Parte della responsabilità è stata attribuita anche alla polizia egiziana, accusata di non prendere sul serio le segnalazioni. Alcune donne hanno riportato di aver ricevuto considerazioni volgari dagli stessi agenti alle stazioni di polizia, sentendosi così doppiamente umiliate e che, inoltre, è molto facile per il molestatore denunciato ottenere dai poliziotti con pochi centesimi informazioni sulla vittima e la sua famiglia per minacciarla e far cadere le accuse. Segnalare i molestatori alla polizia ha significato per alcune il prezzo di doversi trasferire da un altro lato della città. Nel frattempo, l’ultima campagna lanciata attraverso la rete ha permesso alle donne non solo di condividere le proprie esperienze ma di non sentirsi sole.
Rompere il tabu. Secondo attivisti egiziani, le molestie erano un argomento tabu fino a qualche anno fa, poiché la società patriarcale egiziana proteggeva i molestatori e umiliava le donne per assicurarsi che non ne parlassero. Ora, invece, parlarne apertamente ha permesso alle donne di rimuovere il peso causato dalla vergogna e far sì che siano i molestatori ad esser considerati colpevoli. Non solo, parlare di molestie sessuali e denunciare pubblicamente gli aggressori ha consentito la creazione di uno spazio nel quale le donne possono parlare di esperienze più gravi, quali le violenze domestiche e quelle subite da famigliari stretti, ben più dolorose e difficili da raccontare rispetto alle molestie che avvengono nelle strade egiziane.
Una scelta coraggiosa, quella di raccontare e che presenta rischi e aspettinegativi e non piace alla maggioranza conservatrice del paese. C’è chi commenta i post sui social network con sarcasmo o sminuendo quanto viene denunciato, considerandolo esagerato. Le donne rischiano di ricevere insulti o messaggi offensivi da estranei. Chi critica l’iniziativa in genere lo fa giustificando le molestie sessuali con le stesse scuse che spesso si sono sentite negli anni in Egitto, secondo cui le responsabili delle molestie sono le stesse donne che le provocano attraverso il proprio abbigliamento o il proprio comportamento. C’è chi ha invitato le donne a tenere queste esperienze per sé per proteggere il proprio onore e preservare l’immagine del paese. Tuttavia, per i gruppi che si occupano di difesa dei diritti delle donne, l’elevata partecipazione femminile alla campagna ha mostrato che l’atteggiamento nel paese sta lentamente cambiando.
L’influenza dei media sull’opinione pubblica. Il recente caso di Zagazig ha messo ancora una volta alla luce come gran parte degli egiziani colleghino l’abbigliamento delle donne alla molestia sessuale e di quanto la stampa favorisca la diffusione di questa opinione. Molti quotidiani hanno infatti ritenuto di interesse descrivere i vestiti della vittima, sottolineando il fatto che la donna “indossava un vestito corto”, pur essendo un dettaglio non rilevante, includendo informazioni sul suo abbigliamento persino nei titoli, trasformandolo così in un elemento determinante nella vicenda.
Per contrastare questa visione, nel mese di dicembre era stata lanciata un’altra campagna di sensibilizzazione attraverso cui le donne sono state invitate a indossare vestiti anni Sessanta per contrastare le molestie sessuali. La campagna, chiamata “Vestiti del passato quando le nostre strade erano sicure” si era posta l’obiettivo di normalizzare il fatto di poter vedere donne in strada con un abbigliamento simile a quello degli anni Sessanta – quando, nell’ultimo periodo del presidente Nasser, prima dell’espansione del movimento islamico negli anni Settanta, la percentuale di molestie era minima – e di lanciare il messaggio che l’abbigliamento non è causa di molestia sessuale. Nena News
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Rosa Schiano è su Twitter: @rosa_schiano