Il nuovo rapporto di Amnesty International definisce le riforme del presidente al-Sisi “cambiamenti cosmetici” che non intaccano i comportamenti radicati nella società. Il 99% delle donne egiziane ha subito abusi.

Manifestazione di protesta contro le violenze sessuali sulle donne egiziane nel 2013 (Foto: REUTERS/Amr Abdallah Dalsh)
della redazione
Roma, 22 gennaio 2015, Nena News – Una vera e propria piaga, salita ai disonori delle cronache durante la rivoluzione di piazza Tahrir e mai realmente affrontata dai governi seguiti alla caduta del dittatore Mubarak: la violenza sulle donne. Un rapporto di Amnesty International pubblicato il 20 gennaio, “Circles of hell”, dà un quadro drammatico della situazione e accusa le autorità statali di aver fallito nel realizzare riforme efficaci.
Manca una strategia di vasta scala, scrive Amnesty: “Le misure recenti a protezione delle donne sono largamente simboliche – ha commentato Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttrice di Amnesty in Medio Oriente e Nord Africa – Le autorità devono dimostrare che non si tratta solo di cambiamenti cosmetici sforzandosi di sfidare le attitudini profondamente radicate nella società egiziana”.
La legge che definisce l’abuso sessuale un reato (e che prevede l’incarcerazione fino a sei mesi e il pagamento di un multa) è stata adottata a giugno dello scorso anno, ma non è riuscita ad intaccare i comportamenti a causa dei requisiti richiesti: per denunciare la violenza, la donna deve avere a sua disposizione almeno due testimoni dell’abuso. Una simile previsione rende quasi impossibile un’accusa e quindi una condanna.
Eppure si tratta di una piaga estremamente diffusa nel paese, dove la violenza sessuale è diventata sistematica anche a causa della “cultura dell’impunità” che vige in Egitto: secondo dati Onu del 2013, il 99% delle donne egiziane ha subito abusi sessuali in pubblico, il 90% ha subito mutazioni genitali. Numeri da spavento, incrementati durante i giorni di piazza Tahrir, quando molte donne denunciarono stupri e violenze mentre manifestavano contro il presidente Mubarak prima, e Morsi dopo. Una violenza – spesso finita in video e su internet – che veniva usata come forma di pressione politica, in molti casi, e oppressione da parte di sostenitori dell’altra parte.
“Attaccare donne e ragazze con stupri e altre forme di violenza sessuale durante proteste di massa, annulla i loro diritti fondamentali – scrive nel rapporto Amnesty – comprese le libertà di assemblea e espressione, il diritto a partecipare alla vita politica del paese sulle stesse basi degli uomini”.
Ma ovviamente le violenze non si fermano alla strada: gli abusi all’interno delle case, da parte di mariti, padri, fratelli, sono radicati. Secondo un rapporto redatto dal governo nel 2005, il 47% delle donne sposate, divorziate o vedove ha subito una forma di violenza domestica. Una violenza tanto profonda che le stesse donne in alcuni casi accettano: in un sondaggio del 2008, il 39% delle donne si diceva d’accordo alle violenze da parte del marito se la moglie commetteva errori, come bruciare il pranzo.
Ed in ogni caso, anche se la donna fosse pronta alla denuncia, difficilmente troverebbe il sostegno delle istituzioni: il sistema legale egiziano condanna l’abuso da parte di sconosciuti, ma non quello perpetrato tra le mura domestiche. E chi sceglie il divorzio, si trova di fronte la doppia opzione di perdere tutti i propri diritti economici o di iniziare una lunga battaglia legale che nella maggior parte dei casi si conclude con un insuccesso.
“Le donne in Egitto sono intrappolate in una violenza sistematica e istituzionalizzata – scrive l’attivista egiziana Mona Eltahawy – A meno che non si faccia della lotta alle violenze una priorità, fino a quando le donne non vivranno vite sicure e dignitose, non ci sarà alcuna rivoluzione. Si deve cacciare Mubarak dalle nostre case come dalle nostre strade. Questa doppia rivoluzione che noi donne dobbiamo intraprendere, contro la misoginia nello Stato e nelle piazze, e quindi dentro casa, è la chiave per la libertà dell’Egitto”. Nena News