Nonostante la resistenza di alcuni stati, ad Addis Abeba il 28esimo summit dell’organismo africano ha stabilito il ritorno “in famiglia” di Rabat. Alcuni analisti temono ora ripercussioni negative per i sahrawi che, però, ostentano sicurezza: “ora maggiori pressioni sul regno di Mohammed VI”
della redazione
Roma, 31 gennaio 2017, Nena News – Nonostante la resistenza di alcuni stati, dopo 33 anni di assenza il Marocco è ritornato ieri ufficialmente nell’Unione Africana (UA). “Rabat non ha imposto condizioni, l’abbiamo presa di parola e l’abbiamo ammessa tra di noi” ha riassunto sinteticamente Mohammed Salem Ould Salek, ministro degli esteri della Repubblica democratica araba dei Sahrawi (Sadr). Il regno di Mohammed VI torna quindi “in famiglia” dopo decenni di tensioni: nel 1984 era stato l’ok del blocco africano all’ingresso nell’Unione del Sahara Occidentale come membro indipendente a causare lo strappo con il Marocco. Ed è ironico che sia stato proprio il diplomatico del Sadr – che dichiara la sovranità sull’intero territorio del Sahara occidentale – ad annunciare la lieta notizia al “nemico”. Rabat, infatti, sostiene che l’ex colonia spagnola sia parte integrante del suo regno. Di tutt’altro avviso è il Fronte Polisario che ne chiede invece l’indipendenza e vuole un referendum per l’autodeterminazione.
Nonostante alcuni analisti sostengano che il ritorno del Marocco potrebbe causare in futuro l’espulsione del Sadr. Salek ha ostentato sicurezza: secondo il ministro, infatti, adesso il Sadr potrà esercitare maggiori pressioni su Rabat soprattutto per quel che riguarda lo svolgimento del referendum stabilito nel 1975 dalla Corte internazionale di Giustizia. “Se adesso Rabat lo bloccherà – ha argomentato il diplomatico sahrawi – i capi di stato chiederanno al regno: perché avete paura del referendum? Perché non permettete ai sahrawi di scegliere il loro futuro liberamente?”.
La calma mostrata da Salek appare fuori luogo visto il clima teso che ha accompagnato il vertice di Addis Abeba. Una tensione palese soprattutto per la netta opposizione di Algeria e Sud’Africa ad aprire le porte a Rabat. Il presidente senegalese Macky Sall ha provato a stemperare gli animi. “Il Marocco – ha affermato – è ora un membro a pieno titolo dell’Unione. C’è stato un lungo dibattito [a proposito], ma 39 dei 54 stati hanno approvato il suo ritorno nonostante la questione del Sahara Occidentale resti [in sospeso]”. “Se la famiglia diventa più grande – ha aggiunto – possiamo trovare soluzioni come famiglia”. Toni speranzosi che non riflettono la realtà sul terreno, ma che nascondono piuttosto altri interessi.
Nelle parole del leader senegalese traspare soprattutto la speranza che un ingresso marocchino (sesta maggiore potenza economica del continente) possa migliorare la disastrata situazione finanziaria dell’Unione che, da quando ha perso uno sponsor chiave come il leader libico Mo’ammer Ghaddhafi, ha provato (con scarsi risultati) a diventare economicamente indipendente.
Se poco chiaro è il futuro, quel che è certo è che le notizie giunte ieri dalla capitale etiope avranno rallegrato il re marocchino Mohammed VI che da anni spingeva per un ritorno del suo Paese nell’organismo africano. Da quando lo scorso luglio aveva annunciato ufficialmente le sue intenzioni, il sovrano era sceso in campo in prima persona girando in lungo e largo il continente nel tentativo di incassare il sostegno dei vari stati membri dell’Ua. Secondo alcuni analisti, l’obiettivo di Mohammed VI è quello di espandere l’economia del regno guardando sempre più a sud. Per realizzare tale proposito, il rientro nell’Unione è apparso al monarca un passo obbligatorio.
Il 28esimo summit africano ha inoltre preso altre decisioni importanti. In primo luogo ha eletto il ministro degli esteri chadiano, Mousa Faki Mahamat, alla presidenza della Commissione Au. Faki, che è stato preferito alla sua pari kenyana Amina Mohammed dopo sette votazioni, è noto per essere in prima linea nella battaglia contro gli islamisti in Nigeria, Mali e Sahel. Nel suo discorso d’insediamento, Faki ha detto che “sviluppo e sicurezza” saranno i due punti chiave della sua agenda politica. Subentra alla sudafricana Nkosazana Dlamini-Zuma la quale, nonostante i progressi nel campo dei diritti delle donne e l’ambiziosa Agenda 2063, secondo molti analisti ha pagato a caro prezzo la debolezza su due temi fondamentali: pace e sicurezza.
Il summit ha fatto anche un bilancio sull’operato dell’Unione africana e ha discusso sulle prossime sfide che attendono l’organismo. Dure sono state, a tal proposito, le parole pronunciate domenica dal presidente del Ruanda Paul Kagame. Il leader ruandese, infatti, ha evidenziato come il “fallimento cronico” nel vedere le decisioni dell’Ua implementate ha fatto sì che per i popoli africani l’Unione è politicamente irrilevante. Non solo: Kagame ha anche affermato che l’organismo “dipende eccessivamente dai fondi dei donatori” e non sarebbe quindi del tutto indipendente (secondo uno studio dell’Istituto per gli studi della Sicurezza, gli aiuti esteri rappresentano il 70% del budget complessivo). Tra i temi trattati al summit non poteva poi mancare il neo presidente Usa Trump il cui tanto discusso divieto di immigrazione colpisce direttamente tre stati africani. “Il Paese dove i nostri popoli sono stati portati come schiavi ha deciso ora di vietare [l’ingresso] ai rifugiati di alcuni stati” ha detto con amarezza la presidente uscente della Commissione Au Nkosazana Dlamini-Zuma. “E’ chiaro – ha aggiunto – che a livello mondiale stiamo entrando in tempi molto turbolenti”. Nena News