Seggi aperti per la prima volta dal 2011, ma il partito sciita al-Wefaq invita a disertare le urne per l’assenza di riforme democratiche. Gli sciiti chiedono un premier indipendente dalla monarchia legata a doppio filo all’Arabia Saudita.
dalla redazione
Roma, 22 novembre 2014, Nena News – È giornata di elezioni quella di oggi in Bahrain. Per la prima volta dal 2011, anno della rivolta popolare, il paese va alle urne. I 350mila aventi diritto al voto dovranno scegliere 40 deputati (i 40 senatori sono nominati direttamente dal re) tra 266 candidati, la maggior parte dei quali sunniti, nonostante il 70% della popolazione sia sciita.
Il clima politico non è dei migliori: le opposizioni sciite hanno fatto appello al boicottaggio del voto per la mancata riconciliazione nazionale a seguito delle proteste di tre anni fa. Il polso delle fratture interne al paese lo dà la sentenza del 28 ottobre scorso: un tribunale del Bahrain aveva sospeso per tre mesi le attività del principale gruppo di opposizione sciita, al-Wefaq, lo stesso che oggi chiama i suoi elettori a disertare i seggi.
Nei giorni scorsi centinaia di manifestanti sono scesi per le strade dei villaggi sciiti al grido di “boicottaggio”. La polizia ha disperso le folle con gas lacrimogeni, mentre il ministro dell’Informazione, Samira Raab, minacciava un intervento del governo che non avrebbe tollerato “caos, rivolte e interferenze esterne”, un chiaro messaggio a Teheran, considerato il burattinaio dietro le richieste della comunità sciita, in opposizione al re, stretto alleato saudita e statunitense.
Un’accusa rispedita al mittente da al-Wefaq che dice di volere soltanto democrazia, dialogo nazionale e la fine della repressione delle voci critiche al governo: dal 2011 ad oggi sono stati centinaia gli attivisti e i manifestanti arrestati sia nella capitale Manama che nei villaggi a maggioranza sciita, decine i morti, le cui proteste sono state violentemente represse con i carri armati inviati da Riyadh. E nelle ultime settimane il numero di arresti è aumentato: tra loro la noto attivista Ebtisam Alsaegh e una decina di donne che avevano promosso un’ufficiosa campagna referendaria.
Eppure al-Wefaq non chiude la porta: il leader del movimento, Sheikh Ali Salman, si è detto di nuovo pronto a sedersi al tavolo con il governo, ma solo se questo implementerà le riforme democratiche in tempi stretti. Tra le richieste, la creazione di una vera monarchia costituzionale, con un primo ministro indipendente dalla famiglia reale sunnita Al-Khalifa, al potere dal 1783. Ad oggi il primo ministro non è eletto dal popolo ma nominato dalla monarchia che continua a controllare potere esecutivo e legislativo.
L’opposizione sciita appare ottimista e prevede una partecipazione al voto del solo 30% della popolazione. Alle elezioni del 2010 si recò alle urne il 67% degli aventi diritto: se la chiamata al boicottaggio avesse successo, la bassa affluenza alle urne potrebbe delegittimare politicamente una monarchia già indebolita da tre anni di proteste. Se così fosse, il Bahrain vivrebbe un’altra ondata di instabilità interna che potrebbe provocare un intervento indiretto di Washington nel paese sede della Quinta Flotta Usa: dalla Casa Bianca potrebbe arrivare la richiesta di formare un governo maggiormente inclusivo per evitare ulteriori squilibri interni contrari agli interessi statunitensi nell’area. Nena News