Si dimette il presidente del Consiglio Costituzionale Tayeb Belaiz. Le forze armate promettono di porre fine al caos, ma le piazze non si svuotano: la mobilitazione popolare chiede la rimozione totale del sistema attuale. Sullo sfondo l’orizzontalità delle proteste e la situazione socio-economica interna
di Chiara Cruciati
Roma, 17 aprile 2019, Nena News – La mobilitazione popolare algerina iniziata a metà febbraio ha segnato ieri sera un altro punto: una delle tre B contro cui erano rimasti in piazza centinaia di migliaia di manifestanti dopo le dimissioni del presidente Bouteflika, si è dimesso. Il presidente del Consiglio Costituzionale Tayeb Belaiz – considerato insieme al presidente ad interim e presidente del Senato Abdelkader Bensalah e il primo ministro Noureddine Bedoui una delle facce del sistema di corruzione plasmato da Bouteflika – ha annunciato le sue dimissioni ieri.
Belaiz ha ricoperto il ruolo di ministro senza soluzione di continuità negli ultimi 16 anni ed è stato nominato a capo del Consiglio Costituzionale il 10 febbraio scorso per la seconda volta. Già ieri in tarda serata il presidente ad interim Bensalah aveva nominato il suo sostituito, Kamel Feniche, magistrato e membro del Consiglio dal 2016, considerato più indipendente.
Ma a pesare sulle vittorie della piazza e sulla transizione politica algerina è l’inquietante ombra dell’esercito. Subito dopo l’annuncio di Belaiz, ha preso di nuovo la parola il capo di stato maggiore Gaid Salah, fautore in qualche modo dell’abbandono del potere da parte di Bouteflika: il tempo sta scadendo, ha detto, l’esercito sta cercando di individuare il modo di porre fine al caos politico. Riferimento, neppure troppo velato, alle proteste popolari che continuano tenaci.
Mentre Gaid Salah parlava, fuori per le strade di Algeri un ingente dispiegamento di polizia circondava l’ufficio delle poste, divenuto in queste settimane il punto di incontro, iconico, delle manifestazioni anti-governative. Perché le piazze non si svuotano: i manifestanti insistono nel chiedere la rimozione totale e definitiva di tutto l’attuale sistema di potere, quello che ha governato per 30 anni e che ha radicato un’élite politica ed economica che ha rallentato il paese e amplificato le disuguaglianze interne.
Nel mirino del movimento ora ci sono le tre B, o meglio le due B dopo le dimissioni di Belaiz, e una transizione reale che conduca alle elezioni previste per il prossimo 4 luglio. “Continueremo quanto abbiamo iniziato”, dicevano alcuni manifestanti ieri nel centro di Algeri mentre la folla gridava “Algeria libera” di fronte al cordone di polizia intorno alle poste.
La consapevolezza che il sistema, il “clan” come viene chiamato, stia tentando di salvare se stesso sacrificando Bouteflika è concreta, plastica: gli algerini, soprattutto i giovani e gli studenti “liberi” dal trauma degli anni di piombo degli Anni Novanta e del terrorismo – e dunque meno permeabili alla strategia della paura dei vertici – non lasciano le piazze e continuano a chiedere una trasformazione totale del paese. Dal punto di vista politico, ma anche socio-economico: sebbene nel 2011 l’Algeria non sia stata pressoché toccata dalle cosiddette primavere arabe, la situazione interna è instabile.
Alta disoccupazione giovanile e alto tasso di lavoro nero senza salario minimo e assicurazione, marginalizzazione delle periferie, corruzione radicata e tentacolare che succhia via le risorse del paese, un’economia fondata quasi esclusivamente sul petrolio e sul gas: il clan rappresenta questo. E questo è il target del movimento popolare, soprattutto in vista delle elezioni, decise da Bensalah per il prossimo 4 luglio.
Una parte delle opposizioni non intende andare alle urne con l’attuale sistema in vita. Ieri alcuni partiti di opposizione – tra cui gli islamisti Development and Justice Party e Al-Nahda – hanno annunciato la decisione di boicottare le presidenziali definendole “il tentativo di un’autorità illegittima di replicare se stessa con elezioni false”. E le piazze non nascondono la paura che urne aperte sotto la stessa leadership non siano che una foglia di fico necessaria a garantire i vertici.
Elezioni legali ma non legittime, come spiega ad al Jazeera Louisa Dris-Ait Hamadouche, professoressa di scienze politiche all’Università di Algeri 3: “Tre mesi sono lunghi per un movimento popolare”, aggiunge spiegando come il potere immagini un indebolimento della mobilitazione da qui all’estate. Il punto interrogativo per eccellenza è ancora l’estrema orizzontalità della mobilitazione, priva di una leadership politica riconosciuta e tuttora avulsa dai partiti di opposizione storici. Per alcuni una debolezza, per altri il sintomo di una potenza politica eterogenea. Nena News