ANALISI. “Malgrado l’ulteriore e imponente manifestazione del hirak, la situazione sta mutando e il movimento di protesta sembra trovarsi a un bivio. Il regime sta svelando sempre di più il suo vero carattere repressivo” scrive Maurizio Coppola
di Maurizio Coppola*
Roma, 9 luglio 2019, Nena News – Venerdì 5 luglio, in Algeria si è tenuta la 20esima manifestazione del movimento popolare contro l’intero sistema politico. La manifestazione è caduta esattamente nel 57esimo anniversario della liberazione dell’Algeria dai 132 anni del colonialismo francese (5 luglio 1962). Se nelle ultime settimane la partecipazione alle manifestazioni del venerdì era leggermente diminuita, il 5 luglio le strade delle maggiori città algerine si sono di nuovo riempite massicciamente. Malgrado un’ulteriore e imponente dimostrazione di determinazione e non violenza del hirak, la situazione sta mutando e il movimento sembra trovarsi a un bivio.
Durante le prime settimane di manifestazioni, il conflitto opponeva da un lato la strada con le molteplici piazze, riunendo partiti d’opposizione, lavoratori, sindacati, associazioni studenteschi e femministe e cittadini attorno ad una rivendicazione radicale ma semplice: “système dégage!” – che se ne vadano tutti!; dall’altro lato il regime politico attorno all’allora presidente in carica Abdelaziz Bouteflika totalmente delegittimato. Dopo che il capo di stato maggiore e colonnello Ahmed Gaid Salah si è dimostrato essere vera testa del regime e dopo quattro mesi di proteste ininterrotte, le dinamiche politico-sociali sono mutate.
Da parte dell’apparato di potere, il regime sta svelando sempre di più il suo vero carattere: se all’inizio delle proteste rispondeva ancora a delle rivendicazioni delle piazze (destituzione del presidente Bouteflika, annullamento delle elezioni di aprile 2019 e operazione “mani pulite” contro imprenditori e politici corrotti), da almeno un paio di mesi la repressione sta aumentando contro i politici d’opposizione di vecchia data (per esempio Louisa Hanoune del partito dei lavoratori), contro degli storici militanti della guerra di liberazione che oggi si sono espressi per il movimento e contro il partito unico FLN e contro il regime militare (proprio alcuni giorni prima del 57esimo anniversario è stato arrestato Lakhdar Bouregaâ, storico mujahedin) e contro giornalisti e militanti giovani dell’attuale movimento.
Da tre settimane ormai la polizia blocca le più importanti strade della capitale Algeri per impedire ai manifestanti di sfilare come durante i precedenti venerdì. Proprio venerdì scorso la manifestazione in certi punti del corteo è stata brutalmente repressa. Le immagini che circolano sui social media mostrano le violenti cariche della polizia contro manifestanti pacifici e totalmente indifesi. Tante persone denunciano di aver riportato ferite gravi (gambe rotte, teste aperte, ferite agli occhi). La Direzione generale della Sicurezza Nazionale (DGSN) ha annunciato in un comunicato di aprire un’inchiesta sui video degli scontri con la polizia, ma nel movimento popolare, però, in pochi credono a una reale condanna dei principali responsabili delle violenze.
La domanda che emerge immediatamente è quindi: questa escalation di repressione e violenze indica una svolta nella gestione del movimento da parte del regime? Ci troviamo davanti a uno scenario egiziano e sudanese? Thomas Serres, ricercatore e esperto delle politiche nordafricane e della zona mediterranea risponde così in un’intervista al quotidiano francese indipendente Mediapart:
“Non credo proprio, per diversi motivi. In primo luogo, l’Algeria ha già avuto il suo decennio nero [guerra civile tra forze islamiste e il governo/l’esercito algerino tra il 1988 e il 1999], e la maggior parte degli attori dell’opposizione e del regime rifiutano l’uso della violenza. I manifestanti rimangono pacifici e non hanno dato nessun motivo per far usare violenza contro di loro. Il regime si basa su dispositivi polizieschi che si orientano piuttosto al modello francese di “gestione democratica delle folle”. In secondo luogo, l’esercito algerino non intende esercitare direttamente il potere. Gli ufficiali dell’ANP [armée nationale populaire] rivendicano certamente un diritto di controllo [della gestione politica e delle istituzioni pubbliche], ma è fuori questione vedere Gaid Salah o un altro generale diventare presidente. Infine, e questo è assolutamente centrale, i governi degli Emirati e dell’Arabia Saudita sostengono attivamente l’esercito egiziano e sudanese, nonché il maresciallo Haftar in Libia. Per sua fortuna, l’Algeria è ancora relativamente lontana dal Golfo”.
Benché non si possa paragonare la situazione algerina a quella egiziana o sudanese, la repressione e le violenze contro il movimento stanno aumentando. Questo cambierà le dinamiche di piazza nelle prossime settimane, ma rimane difficile prevedere le conseguenze politiche e sociali di questi cambiamenti.
Per quel che riguarda l’opposizione, le iniziative nate dal basso per trovare una roadmap alternativa a quella proposta da Gaid Salah che permetta una reale transizione democratica rimangono per il momento deboli e devono affrontare almeno tre grandi difficoltà: prima di tutto, la debolezza delle strutture di opposizione organizzate, spesso caratterizzate da divisioni interne e da una mancanza di convergenza tra di loro; in secondo luogo, l’assenza di personalità riconosciute dalla piazza, capaci e disposte a sostenere una reale alternativa politica e confrontarsi, in modo organizzato, con il regime; infine un mancato consenso sui primi necessari passi da compiere per avviare una reale transizione democratica: se gli uni insistono sull’impossibilità di elezioni presidenziali nell’ambito dell’attuale costituzione e sulla necessità di un’assemblea costituente indipendente da chi controlla le istituzioni statali, gli altri spingono per delle nuove elezioni per scegliere un nuovo presidente che organizzerà questa transizione.
Il 15 giugno si è tenuto un primo incontro ufficiale della Conferenza della Società Civile per discutere come organizzare una tale roadmap. Le differenze tra le diverse forze politiche impegnate in questo incontro sono ancora molto nette. Infatti, alcune organizzazioni e associazioni si solo allontanate da questa Conferenza e non hanno più partecipato al secondo incontro tenutosi sabato 6 luglio, cioè un giorno dopo la 20esima manifestazione. Oggi sono tre i blocchi chiaramente identificabili che, ciascuno per conto proprio, ha una prospettiva di transizione. Si tratta della Conferenza della Società Civile, dell’Alternativa Democratica e del Forum del Dialogo Nazionale. L’unica punto di convergenza rimane la convinzione che l’intero sistema politico deve essere rovesciato e che i vecchi rappresentanti devono lasciare la scena alle nuove forze politiche e sociali. Decisamente troppo poco per le difficoltà con le quali si deve confrontare il movimento attualmente.
Visto la continuazione determinata del movimento popolare, un compromesso con il regime non è più possibile. Le sfide delle prossime settimane saranno dunque ristrutturare l’opposizione politica e metterla in linea con le rivendicazioni sociali del movimento affinché una vera alternativa possa essere imposta al regime. Ma il regime non intende cedere di un passo e le spaccature e le differenze ideologiche interne al movimento popolare rimangono grandi. In più, il 9 luglio, scadranno i novanta giorni di governo provvisorio diretto dal presidente Abdelkader Bensalah e dal premier Nourredine Bedoui. Per il momento, il futuro algerino rimane decisamente aperto. Nena News
* Maurizio Coppola, giornalista di Revolt e attivista di Potere al Popolo per cui segue la questione algerina