Ridotta in appello la condanna ma cambia poco: il reporter, in prigione dal 7 marzo, è punito per aver coperto le manifestazioni degli studenti contro il regime algerino
della redazione
Roma, 17 settembre 2020, Nena News – Erano tantissime ad Algeri le persone in corteo per mostrare solidarietà al giornalista Khaled Dradeni e per protestare con i propri corpi in marcia contro la condanna a due anni di prigione comminata lunedì al reporter del Casbah Tribune e corrispondente algerino di Reporter senza frontiere (Rsf) e dell’emittente francese TV5 Monde.
Drareni era stato arrestato lo scorso 7 marzo mentre copriva una manifestazione di studenti nella capitale algerina, una delle tante proteste che da oltre un anno attraversano il paese, rallentate solo dall’epidemia di Covid-19. Le accuse che gli sono mosse è di aver “incitato al ritrovo disarmato” e di aver “messo in pericolo l’unità nazionale”.
La corte d’appello ha ridotto, due giorni fa, l’iniziale condanna a tre anni comminata il 10 agosto scorso, ma cambia poco. Lo ribadisce l’avvocato del giornalista, Mustafa Bouchachi, che annuncia il ricorso alla Corte suprema. Protesta anche Rsf che parla, con il segretario generale Christophe Deloire, di “repressione assurda, ingiusta e violenta”. E protestano i colleghi algerini che si sono presentati davanti al tribunale e che sono ben consci della scure che si è abbattuta sulla stampa in questi mesi di protesta: giornalisti accusati di reati contro lo Stato, minacciati, arrestati e sotto processo, una situazione drammatica che – denuncia Amnesty – riflette “l’allarmante schema di persecuzione di giornalisti e attivisti”.
Il 24 agosto a essere condannato a due anni di prigione e al pagamento di una multa di 100mila dinari (circa 657 euro) era stato il reporter radiofonico Abdelkrim Zeghileche, con l’accusa di aver insultato il presidente Tebboune e di aver attaccato l’unità nazionale. Zeghileche era stato già detenuto nel 2018 per 49 giorni, anche in quel caso per insulti all’allora presidente Bouteflika. Realtà che non fanno immaginare niente di buono nel post-Bouteflika, come l’hirak denuncia da tempo: il presidente se n’è andato ma il clan resta, il suo sistema di potere non è stato sconfitto.
In molti ricordano le proteste e le dimissioni di massa di molti giornalisti della tv e la radio pubblica a cui i superiori impedivano di raccontare e coprire le proteste del 2019. Ad aprile era stata l’epidemia di Covid-19 a “giustificare” gli attacchi alla stampa, con la detenzione di alcuni giornalisti che stavano coprendo l’emergenza sanitaria. Poco dopo il governo ha approvato una legge contro le fake news, punite con pene dai due ai cinque anni di prigione e multe tra i 100mila e i 500mila dinari per inchieste che non sono affatto bufale: da allora, denuncia il Committee to Protect Journalist, diversi siti web sono stati bloccati.
Insieme a Drareni, sono stati processati anche Samir Benlarbi e Slimane Hamitouche, due attivisti del movimento Hirak, partito in Algeria nel febbraio 2019 dopo l’annuncio della quinta candidatura del presidente Bouteflika alle elezioni e che ha portato alla sua rimozione. Per i due è ancora attesa la sentenza ma, a differenza del giornalista, sono al momento liberi.
“Sono un giornalista, non un criminale. Ho solo fatto il mio lavoro”, così Drareni si è difeso durante il processo, durante il quale è apparso smagrito e in non buone condizioni, tanto da far partire una campagna internazionale che ne ha chiesto il rilascio anche sulla base di motivi di salute. Per ora senza risultati. Nena News