L’esecutivo guidato da Hadi di fronte alla sfida del settarismo interno: 40 morti in tre giorni in scontri tra sciiti e sunniti, mentre tutti puntano al controllo delle materie prime.
di Francesca La Bella
Roma, 15 marzo 2014, Nena News – Quaranta morti in 3 giorni negli scontri tra tribù sunnite e milizie sciite (zaidi) nel Nord dello Yemen. Le provincie di Al-Jawf e Hamdan, rispettivamente 140km e 30km a Nord di Sana’a, sono state il teatro principale delle tensioni inter-etniche che attraversano il territorio yemenita ormai da molti mesi. Per quanto le problematiche di sicurezza sul sensibile confine con l’Arabia Saudita, dove vige un controllo pressoché esclusivo dei gruppi zaidi Houthi, e nel Sud, dove forte è l’influenza di compagini legate ad Al-Qaeda, siano fonte di grande preoccupazione per il governo, l’avvicinarsi dei combattimenti alla capitale è considerato, al momento, il principale pericolo per l’integrità del Paese.
Dopo dieci mesi di Conferenza Nazionale del Dialogo, conclusasi a dicembre, e il rinnovo di un anno del mandato ad interim del presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi per garantire continuità al processo di transizione democratica, sarebbe dovuto iniziare una nuova fase che, attraverso la trasformazione del Paese in un sistema federale multi-regionale, avrebbe dovuto porre fine agli scontri. Così non è stato: la prospettiva di federazione ha indotto i diversi gruppi a cercare di ampliare la propria area di influenza garantendosi il più possibile l’accesso alle materie prime e alla capitale.
In questa situazione il governo cerca un rafforzamento della propria legittimità e del proprio controllo con modalità diverse a seconda delle particolari contingenze: di fronte alla problematica degli attacchi ad oleodotti e pozzi, sono stati nominati un nuovo ministro con competenze sull’energia ed il petrolio, Khaled Mahfouz Bahah, e un nuovo ministro dell’Interno, Abdou Hussein al-Tarb; nel caso di scontri tra diverse etnie, soprattutto nel Nord, l’esercito ha scelto di fare un passo indietro delegando a milizie lealiste la difesa degli accessi ai luoghi sensibili; attraverso la delega di alcune competenze alle provincie, il governo spera di rafforzare il proprio controllo esclusivo su alcune materie.
Il dinamismo della dirigenza yemenita non è, però, solo frutto di volontà interne. Molto forti sono, infatti, le pressioni esterne provenienti principalmente da Stati Uniti ed Arabia Saudita. Al governo Hadi è richiesto un significativo impegno per la pacificazione del Paese che garantisca la sicurezza interna e la continuità nei flussi commerciali verso l’estero. A questo proposito da molte parti sono giunte critiche all’operato troppo poco deciso del presidente e alle interferenze del vecchio presidente Ali ‘Abd Allah Saleh, ritiratosi nel 2012 dopo 33 anni alla guida del Paese. In questo senso, contro quest’ultimo, sembrano dirette le dichiarazioni di condanna dell’ONU. La risoluzione che impone sanzioni a chi potrebbe ostacolare il processo di transizione, non specificando nel testo chi sia da identificare come oggetto della condanna, ha aperto alla ferma la reazione del deposto presidente Saleh che l’ha percepita come a lui diretta.
In questo momento, dunque, il governo Hadi ha la necessità di muoversi su più fronti per riuscire a portare avanti il progetto nato dai colloqui dei mesi passati. Se da un lato è necessaria una tregua reale e duratura tra le diverse etnie in conflitto per poter avviare il processo di delega delle funzioni di governo alle provincie, dall’altra le interferenze interne ed estere, oltre a creare ulteriori dissidi, rischia di delegittimare totalmente l’esecutivo in carica.
Riuscirà Hadi a far fronte a tutte queste pressioni e a garantire i diritti di tutte le parti in causa? Nena News