Ieri il “califfato” ha attaccato obiettivi militari nella città meridionale di Mukalla uccidendo almeno 43 persone. Una 50ina, invece, le vittime degli scontri tra la coalizione sunnita e i ribelli houthi. I colloqui di pace in Kuwait, intanto, dovrebbero essere sospesi fino a metà luglio
della redazione
Roma, 28 giugno 2016, Nena News – Il sanguinoso conflitto yemenita si arricchisce di una nuova mattanza: una serie di attacchi (due di questi con attentatori suicidi) ha colpito ieri la città meridionale yemenita di Mukalla uccidendo almeno 43 persone e ferendone una decina. Un bilancio provvisorio: le autorità locali ritengono che il numero dei morti è destinato a salire considerate le condizioni critiche in cui versano molti dei feriti. Obiettivi degli attentati, rivendicati prontamente dall’autoproclamato “Stato Islamico” (Is), sono stati gli uffici dell’Intelligence yemenita, alcune caserme militari e i checkpoint allestiti dall’esercito. Secondo le ricostruzioni fornite da fonti della sicurezza, una delle bombe sarabbe stata nascosta in un scatola di cibo per l’Iftar, il pasto che interrompe il digiuno del Ramadan. In un altro attacco, invece, un gruppo di miliziani jihadisti avrebbe fatto irruzione in una stazione di polizia sparando chiunque aveva sotto tiro.
Che i massacri dei radicalisti islamici siano avvenuti ieri proprio a Mukalla non deve destare alcuna sorpresa: la città, capoluogo della provincia dell’Hadramawt nel sud est del Paese, è stata per un anno occupata dal braccio yemenita di al-Qa’eda (Aqap). Le forze qa’ediste, insieme a quelle dell’Is, sono al momento le uniche vincitrici della guerra in corso da più di un anno tra le forze governative (sostenute da una coalizione di stati sunniti a guida saudita, da tribù e indipendentisti del sud) e i ribelli houthi (appoggiati dai sostenitori dell’ex presidente Saleh e, seppur non ufficialmente, dall’Iran). Il blocco sunnita aveva annunciato con grande clamore lo scorso aprile la liberazione della città dalla presenza jihadista. Una vittoria, in realtà, che appare sempre più di Pirro: l’area è lungi ancora dall’essere completamente “bonificata” dai radicalisti islamici.
Ma nella guerra dimenticata yemenita non si muore soltanto per mano jihadista: negli scontri tra le forze governative e gli houthi sono rimaste uccise 41 persone soltanto nella giornata di domenica. I ribelli hanno provato ad avanzare verso la base aerea di al-Anad nella provincia meridionale di Lahj dopo aver conquistato la zona di Qubaita (tra le province di Lahj e Taiz). Ma le violenze si sono registrate anche nel nord del Paese dove nelle ultime 48 ore hanno perso la vita nove ribelli e sette soldati. Ieri un numero imprecisato di raid della coalizione ha colpito il distretto di Khawlan (a sud est della capitale Sana’a) uccidendo almeno sette persone. Due donne, invece, sono state uccise a Qubaita sempre a causa dei bombardamenti del blocco sunnita.
Gli scontri delle ultime ore assumono una significato ancora più inquietante se si pensa che due giorni fa il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, si è recato in Kuwait nel tentativo (disperato) di rimettere in moto i negoziati di pace tra le parti belligeranti. Ban ha esortato i negoziatori yemeniti a raggiungere al più presto una intesa definitiva visto lo stato in cui versa il Paese. “C’è un’allarmante mancanza di cibo. L’economia è in condizioni precarie” ha detto, bacchettando poi gli attori del conflitto per le numerose violazioni del cessate il fuoco in vigore (teoricamente) dallo scorso 21 aprile. Il segretario Onu ha invitato nuovamente la coalizione sunnita e gli houthi ad accettare la “roadmap per la pace” proposta dall’inviato delle Nazioni Unite in Yemen, Ould Sheykh Ahmad.
Il piano di Ahmad prevede la formazione di un governo di unità nazionale, il ritiro e il disarmo degli houthi. Facile a dirsi, impossibile al momento da realizzarsi: le due parti continuano ad essere molto lontane. Il governo pretende infatti l’implementazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che impone agli houthi di ritirarsi da tutte le città che hanno occupato (a cominciare dalla capitale Sana’a) e di consegnare le armi. I ribelli, dal canto loro, chiedono la formazione di un governo di unità nazionale prima che abbia luogo qualunque cambiamento “sul terreno”.
Ieri, intanto, i negoziatori houthi e della coalizione hanno riferito all’Associated Press che le due parti starebbero lavorando ad una dichiarazione congiunta con cui dovrebbe essere annunciata la sospensione dei colloqui di pace fino a metà luglio in concomitanza con la festa musulmana dell’Eid al-Iftar.
I 15 mesi di guerra yemenita hanno causato oltre 6.000 morti. Di questi, stima l’Onu, 3.539 erano civili. Nena News