Secondo i ribelli sciiti, il diplomatico Shaykh Ahmad non è persona “adatta” a risolvere il conflitto perché “faziosa”. L’Organizzazione mondiale della sanità, intanto, lancia l’allarme: “681 vittime di colera. E la malattia non ha ancora raggiunto il suo picco”
della redazione
Roma, 7 giugno 2017, Nena News – Si allontana ancora di più una soluzione politica alla guerra yemenita: lunedì i ribelli sciiti houthi e i loro alleati hanno infatti annunciato che l’inviato dell’Onu in Yemen non entrerà più nelle aree sotto il loro controllo. In un discorso televisivo, Saleh al-Samad, il leader del consiglio politico ribelle, ha detto che il suo gruppo non sarà più “in contatto con Ismail Ould Cheikh Ahmed e che lui non sarà più il benvenuto”. Shaykh Ahmed, ha aggiunto Samad, non è persona “adatta” a risolvere il conflitto e se il Palazzo di Vetro scegliesse un altro inviato “dovrebbe rispettare la volontà del popolo”. Gli houthi accusano l’alto funzionario internazionale di non essere “imparziale” perché vicino alla coalizione a guida saudita.
La scorsa settimana l’inviato Onu aveva detto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che i “primi passi negoziali” per porre fine alle ostilità in Yemen procedevano lentamente. Gli scarsi progressi diplomatici, aveva chiarito, erano ascrivibili alla mancata volontà di entrambe le parti del conflitto di fare delle concessioni per giungere ad una pacificazione. La sua resa era apparsa netta: “Non vi nasconderò che non siamo vicini ad un accordo” rivelando poi il rifiuto degli ufficiali houthi a incontrarlo.
Shaykh Ahmed aveva poi espresso la sua “profonda preoccupazione” per “il grave attacco” subito a Sana’a lo scorso 22 maggio da parte di alcuni manifestanti che gli chiedevano di porre fine al blocco saudita dell’aeroporto di Sana’a che sta strozzando la popolazione. La tre giorni in Yemen del diplomatico internazionale si era rivelata del tutto infruttuosa: non era infatti riuscito a raggiungere il cessate il fuoco tra i ribelli e il blocco sunnita per il mese sacro di Ramadan (iniziato lo scorso 27 maggio). L’aggressione subita non gli aveva però fatto cambiare idea. Anzi, l’inviato Onu aveva ribadito la sua intenzione di “trovare un accordo politico che possa servire al meglio gli interessi del popolo yemenita”. Parole semplici che gli sono bastate ad incassare il sostegno del Consiglio di sicurezza.
L’ennesimo fiasco della diplomazia giunge mentre si continua a combattere e morire nel Paese. Secondo l’agenzia turca Anadolu, lunedì un raid della coalizione saudita avrebbe ucciso un importante comandante ribelle, Khalil Mohammed Azm, nella provincia di Hajjah (nord ovest dello Yemen). Secondo l’esercito yemenita che fa capo al governo di Aden, l’attacco avrebbe causato anche il ferimento di un imprecisato numero di persone. L’Organizzazione mondiale della sanità (Who), intanto, ha fatto sapere che almeno 681 persone sono morte per la seconda epidemia di colera. Un incremento del quasi 50% dall’ultimo aggiornamento dello scorso 27 maggio. Dato ancora più grave, sottolinea il Who, se si pensa che la malattia infettiva non ha ancora raggiunto il suo picco. Tra il 27 aprile e il 4 giugno, riferisce l’agenzia delle Nazioni Unite, sono stati registrati 86.422 casi di colera in 19 dei 23 governatorati del Paese. Nena News