Secondo gli uomini dell’ex presidente Saleh (vicini agli houthi), il rinvio è dovuto al mancato rispetto del cessate il fuoco da parte di Riyad. Ma i lealisti di Hadi attaccano: “sono scuse” e assicurano: “il via alle trattative previsto per oggi è posticipato solo di un giorno”
della redazione
Roma, 18 aprile 2016, Nena News – I negoziati di pace in Kuwait tra la coalizione sunnita a guida saudita e i ribelli sciiti houthi che sarebbero dovuti iniziare oggi e che dovrebbero portare alla fine della guerra civile in Yemen iniziano con il piede sbagliato. O meglio, non iniziano affatto. “Non c’è modo di andare in Kuwait se non c’è alcun rispetto del cessate il fuoco” ha protestato stamane un alto dirigente del partito del Congresso generale dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh (schierato con i ribelli sciiti houthi). Al momento non si sa ancora quando inizieranno. Due ufficiali yemeniti vicini al governo yemenita (sostenuto da Riyad) hanno detto che le delegazioni arriveranno molto probabilmente domani. “I rappresentanti di Saleh e gli houthi cercano scuse per ritardare il loro arrivo in tempo” hanno detto, non smentendo però la notizia di presunti attacchi della coalizione.
Che in Yemen si sia continuato a combattere nonostante “la tregua” lo sanno tutti da tempo. Soprattutto chi continua a vedere i propri cari morire nel silenzio della comunità internazionale. Non diversamente da quanto accade in Siria, anche qui si assiste al fallimento della diplomazia: i precedenti incontri sponsorizzati Onu che hanno avuto luogo a giugno e dicembre si sono conclusi con un nulla di fatto. A pagarne il prezzo è stata soprattutto la popolazione civile: in un anno di conflitto sono state uccise nel Paese 6.200 persone. Di queste, la metà è costituita da civili.
La crisi umanitaria in cui versa lo Yemen è nei numeri. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2016, sarebbero stati raggiunti i 2,8 mln di Internal Displaced People (IDP- Profughi interni), il 54% della popolazione (circa 14 mln di persone tra i quali 8 mln di bambini) non avrebbe accesso al servizio sanitario, il tasso di mortalità infantile sarebbe in continua crescita così come il tasso di emigrazione dal Paese verso l’estero e, in particolare, verso il Corno d’Africa.
E la situazione non può che peggiorare visto che i combattimenti e i raid aerei del blocco sunnita continuano in diverse regioni yemenite. Soprattutto nella città del sud-ovest di Taiz e nell’area di Nehm, a est della capitale. In questa situazione di caos è il ramo yemenita di al-Qa’eda in Yemen (Aqap) che ne sta approfittando avanzando minacciosa nel sud est. Lo stato di elevato pericolo che si vive nel Paese quotidianamente è apparso ancora una volta evidente ieri nei pressi di un check point vicino la città meridionale di Aden: qui un attentatore suicida si è fatto saltare in area uccidendo 4 soldati yemeniti. Finora nessun gruppo ha rivendicato l’attacco, ma viste le modalità con cui l’attentato ha avuto luogo e il target (soldati) non è difficile supporre che si sia tratttato di un’azione compiuta da Aqap o dallo Stato Islamico. L’attentato di ieri fa seguito all’autobomba che venerdì è stata fatta esplodere sempre in città vicino alla residenza del ministro degli Esteri. L’attacco non ha causato vittime.
Sabato, invece, un raid della coalizione sunnita ha ucciso cinque qa’edisti nella capitale Zinjibar della provincia di Abyan (nel sud). I bombardamenti hanno avuto militarmente riscontri positivi: venerdì i lealisti del presidente Hadi (uomo di Riyad) hanno espulso i combattenti di al-Qa’eda ad Huta (nei pressi di Aden) arrestando 49 persone sospettate di essere “jihadiste.”