In pochi giorni 10mila arrestati e 50mila dipendenti pubblici e privati sospesi. Un’epurazione drammatica che spacca la nazione e apre a un futuro di grave instabilità. Pressioni sugli Usa per l’estradizione dell’imam Gulen
della redazione
Roma, 20 luglio 2016, Nena News – Al vorace Erdogan non sono bastati i 10mila arresti, tra soldati, poliziotti e giudici. A pochi giorni dal tentato golpe di venerdì notte, il presidente turco ha calato l’ascia di guerra contro un drammatico numero di dipendenti pubblici e privati: una purga di massa che ha coinvolto 50mila persone.
I numeri fanno spavento, chiaro sintomo di liste di proscrizione pronte da tempo e non certo figlie di indagini accurate dell’intelligence sulla rete dei golpisti. La più colpita è la scuola: 15mila dipendenti del Ministero dell’Educazione sono stati sospesi con effetto immediato; stessa sorte per 1.577 rettori di università pubbliche e private, mente venivano ritirate le licenze di insegnamento a 21mila docenti di istituti educativi privati.
Giro di vite anche negli altri ministeri: sospesi 257 impiegati del dicastero della Giustizia, 1.500 delle Finanze, 393 delle Politiche Sociali e 257 funzionari dell’ufficio del primo ministro. Intanto le autorità religiose rispondevano all’appello alla “pulizia” di Erdogan, cacciando 492 clerici e imam. Infine, sono state oscurate 24 stazioni radio e tv e 18 agenzie web, mentre i primi file di inchiesta sono stati aperti dalla magistratura nei confronti di giornalisti.
L’accusa è per tutti la stessa: essere parte integrante del presunto Stato parallelo che il presidente imputa all’ex alleato e ora acerrimo nemico Fethullah Gulen, imam in auto-esilio negli Stati Uniti. Proprio intorno alla figura di Gulen si sta giocando in queste ore il braccio di ferro con l’alleato statunitense: Ankara ha inviato ieri a Washington una serie di dossier con cui dice di dimostrare il coinvolgimento dell’imam nel tentato putsch. L’amministrazione Obama sta valutando i materiali ma, in una telefonata con Erdogan, il presidente Usa ha glissato alla richiesta ufficiale di estradizione presentata dai vertici turchi.
Di certo le purghe di massa in corso in Turchia avranno effetti enormi sulla stabilità del paese: ben lontano dalla ricerca di una pacificazione interna, Erdogan punta a liberarsi di qualsiasi forma di opposizione o voce critica. Ma rischia moltissimo: quello che sta seminando è un futuro di tensione e polarizzazione. Se nelle piazze, ancora ieri, scendeva qualche migliaio di suoi sostenitori che a Istanbul lo hanno acclamato mentre prometteva il ritorno della pena di morte, un fronte nuovo e sempre più ampio di oppositori si andrà certamente creando.
Oggi Erdogan presiederà il Consiglio di Sicurezza. Ha già preannunciato che importanti decisioni saranno assunte dai vertici governativi. Tra queste potrebbe esserci proprio la reintroduzione della pena capitale (ieri in piazza ha detto che firmerà la legge se il Parlamento gliela presenterà) ma soprattutto l’accelerazione del progetto di riforma costituzionale a cui agogna da anni: un presidenzialismo che legittimi quello che il paese in realtà già ha, un sistema politico chiaramente controllato e gestito dal presidente a scapito di governo, parlamento e magistratura.
Nelle stesse ore in cui Erdogan arringava la folla, a denunciare un potenziale hackeraggio da parte di Ankara era Wikileaks: il sito di whistleblowing fondato dieci anni fa da Julian Assange, avrebbe dovuto pubblicare ieri quasi un milione di documenti interni al governo turco. Ma non ce l’ha fatta: un attacco molto serio è stato sferrato ai suoi serve impedendo la pubblicazione.
Wikileaks, in una serie di tweet, ha detto di non sapere chi sia dietro il cyber attacco ma sospetta i servizi segreti turchi o di loro alleati. Eppure, precisa il sito, le 300mila mail governative e nei 500mila documenti che avrebbero dovuto svelare “la struttura di potere in Turchia” sono bi-partisan: non sono, scrive Wikileaks, né contro né pro l’Akp (il partito di governo), alcuni possono danneggiarlo, altri possono aiutarlo. Nena News