Come rispettare le tradizioni religiose nella competizione mondiale? Una fatwa autorizzava i giocatori dell’Algeria a mangiare e bere, ma ora che l’unica squadra interamente musulmana è uscita, la scelta diventa personale.
di Giorgia Grifoni
Roma, 2 luglio 2014, Nena News – Giocare a calcio rappresentando la propria nazionale ai mondiali e rispettare comunque le proprie tradizioni religiose: non è facile per gli atleti delle otto squadre giunte ormai ai quarti di finale della coppa del mondo, se si considera che per la prima volta dopo 20 anni il mese sacro del Ramadan coincide nuovamente il torneo più importante del calcio. Le scelte dei singoli giocatori di digiunare o meno – e quindi di mettere a rischio la propria forma fisica – sono state accompagnate da numerose polemiche, nei loro paesi d’origine come nella comunità mondiale di fedeli: dei giocatori rimasti in gara, però, pare che nessuno, a questo livello della competizione, osserverà il digiuno.
In principio era l”Algeria, l’unica squadra musulmana per intero che era riuscita a qualificarsi agli ottavi di finale. La sfida con la Germania, che i nordafricani avevano vissuto come un riscatto della famosa “vergogna di Gijon” – l’eliminazione, nel 1982, dell’Algeria per un presunto tacito accordo tra Germania Ovest e Austria, che secondo i calcoli avrebbe permesso a queste ultime di qualificarsi se il risultato finale della partita fosse stato 1-0 – era stata accompagnata da grandi discussioni e polemiche sull’osservazione o meno del digiuno da parte degli atleti, costretti a giocare con temperature e umidità impossibili da sostenere senza idratazione.
In un primo momento, il consiglio nazionale degli ulema di Algeria aveva provato a chiedere alla Fifa di programmare le partite dell’Algeria di notte, senza successo. Poi, a poche ore dall’inizio della partita, era giunta la fatwa di un esponente del supremo Consiglio islamico del Paese, Muhammad Sharif Qaher, che esentava i giocatori dal digiunare perché in viaggio, in quanto la shari’a autorizza chi è in viaggio a mangiare e bere. Nonostante la grande gioia per i successi della nazionale algerina e l’eccitazione di tutto il paese per quello che, a Germania battuta, sarebbe stato un quarto di finale storico (Francia- Algeria), non tutti erano d’accordo con la fatwa: Muhammad Mukarkab, membro dell’associazione degli ulema algerini, aveva sentenziato che per la squadra non fosse lecito saltare il digiuno, in quanto si trovava in Brasile “per giocare, e non per una malattia o per motivi di studio”.
Ora che sono rimaste otto squadre, il problema diventa personale e si pone per quella manciata di giocatori di origini turche, arabe o africane che fanno parte di Germania, Francia, Belgio e Olanda. Khedira, Mustafi e Ozil, della nazionale tedesca, avevano già fatto sapere che non avrebbero osservato il digiuno perché, come aveva dichiarato il centrocampista dell’Arsenal, che aveva già ottenuto la benedizione delle autorità musulmane competenti “sarebbe un grosso guaio”. Sebbene nell’inverno australe il sole tramonti presto (intorno alle 17.30) e dia una mano per rendere il digiuno meno pesante, tutte le partite si giocano di giorno per esigenze di mondovisione: tradizionalmente i primi cinque giorni di digiuno sono i più duri, e coincidono proprio con la fase decisiva del torneo mondiale. Inoltre, come spiega Hakim Chalabi, ex medico del Paris Saint Germain e specialista di queste situazioni, durante il Ramadan “il rischio d’infortuni aumenta, soprattutto nelle giunture e nelle articolazioni, a causa dell’idratazione irregolare”.
Stessa storia tedesca nella nazionale francese, dove Benzema, Pogba, Sissoko e Sakho hanno fatto sapere che si alimenteranno regolarmente, ma che comunque avessero scelto i Bleus, ricorda Bacary Sagna, “era una decisione che andava rispettata perché personale”. Nel Belgio Fellaini, Dembele e Januzaj hanno chiarito che non digiuneranno. Ed è invece mistero sulla scelta di Robin Van Persie, capitano dell’Olanda che si è convertito all’Islam dopo aver sposato una donna marocchina. Eppure, se si torna indietro proprio al 1982, ultimo anno in cui la Coppa del Mondo incrociò il cammino del Ramadan, l’Algeria battè la Germania ovest per 2 a 1, prima squadra africana a superare un’europea in fase finale di un mondiale. Che gli algerini allora digiunassero o meno, Hakim Chalabi afferma che il rispetto del Ramadan non è sempre stato un ostacolo per i giocatori. “Ci viene spesso chiesto – spiega Chalabi – di sollecitare i giocatori a non digiunare, ma stranamente, in alcuni casi, ci sono atleti che ottengono risultati migliori durante il Ramadan perché digiunano e lo vogliono. Può essere un aiuto spirituale e psicologico”. Nena News