Versioni contrastanti circa la possibile fuga di un ufficiale dell’unità “Nuove forze siriane” entrato con 70 combattenti nel Paese lunedì per combattere lo Stato islamico. La cancelliera Merkel, intanto, apre ad al-Asad: “dobbiamo parlare con lui”
della redazione
Roma, 24 settembre 2015, Nena News – Prendi i soldi e scappa. Così sembrerebbe aver fatto ieri un capo di una unità di ribelli siriani addestrata dagli Stati Uniti. Dopo essere entrato in Siria lunedì insieme al suo gruppo di 70 combattenti, l’ufficiale infatti si sarebbe dato alla macchia dopo aver consegnato le armi al ramo siriano di al-Qa’eda (il fronte an-Nusra). Il condizionale è però quanto mai d’obbligo perché sulla vicenda regna la più totale confusione.
La versione statunitense nega categoricamente qualunque defezione dei 71 ribelli addestrati. In una nota il Comando centrale Usa ha affermato che nessuno dei combattenti delle “Nuove Forze Siriane” (Nsf, l’unità allestita dagli americani ma formata da oppositori siriani) è confluito in an-Nusra. “Inoltre – continua il comunicato – tutte le armi e l’equipaggiamento della coalizione sono sotto il pieno controllo dei combattenti Nsf. Ad allontanare qualunque imbarazzo è stato anche un portavoce del Pentagono, il capitano della marina Jeff Davis. Davis ha sostenuto che le notizie sulla diserzione di uno dei componenti dell’unità ribelle è “palesemente falsa”. Secondo il portavoce “Washington è in contatto con l’ultimo gruppo di reclute [mandate in Siria lunedì] e di avere con sé le armi”.
Le accuse di un possibile tradimento dei ribelli siriani sono cominciate a circolare sui social network già lunedì quando il gruppo delle Nsf era entrato in Siria. Secondo alcuni sostenitori di an-Nusra, infatti, un gruppo di ribelli addestrato dagli Usa aveva consegnato le armi dopo essere stato fermato dai qa’edisti. A sostegno di questa argomentazione ci sono alcune foto postate dai sostenitori di an-Nusra in cui sono mostrate le (presunte) armi sequestrate. Le immagini e il polverone alzato da queste dichiarazioni hanno subito spinto un altro gruppo addestrato da Washington (la Divisione 30) a pubblicare sul suo account personale di Facebook un breve comunciato con cui si afferma la necessità di aprire una inchiesta per verificare la veridicità delle accuse. A differenza di quanto sostengono gli americani, però, l’unità afferma di aver perso i contatti con l’ufficiale pur tuttavia negando un suo coinvolgimento con i qa’edisti.
Ma il mistero non finisce qui. Il presunto ufficiale fuggitivo, identificato come un certo Anas Ibrahim Abu Zayed, ha confermato sulla sua pagina Facebook di non far parte più della Divisione 30, ma di combattere “in modo indipendente” nel nord della provincia di Aleppo attaccando “da solo lo Stato Islamico e le forze del governo siriano” senza coordinarsi con la coalizione internazionale. Non è chiaro che cosa intenda con il termine “da solo” Abu Zayed, proprio lui che in realtà gli Usa li conosce bene essendo stato un ex membro di un altro gruppo formato da Washingon conosciuto come Hazm, sbaragliato da an-Nusra lo scorso anno nella provincia settentrionale di Idlib.
Come siano andati veramente i fatti, al momento, è difficile stabilrlo. Quel che certo è che una eventuale “tradimento” dei ribelli addestrati dagli Usa rappresenterebbe un nuovo grosso imbarazzo per l’amministrazione Obama già ampiamente criticata per aver dato troppa poca protezione ai ribelli che ha finanziato e armato. Gli americani sostengono che i combattenti siriani scelti vengono sottoposti ad un attento esame e che il loro unico obiettivo è la lotta contro le forze dello Stato islamico. Nelle intenzioni del Pentagono, infatti, questi uomini dovrebbero combattere a fianco dei curdi siriani, degli arabi sunniti e di altri gruppi contro gli uomini di al-Baghdadi.
Tuttavia, le cose non sono sempre andate secondo i piani di Washington. Un precedente contingente di 54 miliziani sempre addestrati dagli Usa era stato sbaragliato lo scorso luglio da an-Nusra. Alcuni componenti furono uccisi, altri presi come ostaggio e solo una parte di essi riuscì a mettersi in fuga. Senza considerare il già citato caso dell’Hazm su cui gli americani hanno investito tempo e denaro, ma la cui opposizione ai qa’edisti di an-Nusra è stata nei fatti inconsistente. I ribelli siriani finanziati e armati dagli Usa sono una forza insignificante in termini numerici, di addestramento e sono scarsamente armati rispetto alle altre formazioni armate che si danno battaglia in Siria. E, soprattutto, hanno troppi nemici: se le forze del regime siriano e i gruppi jihadisti li considerano i “cani d’America”, anche i ribelli “moderati” li guardano con sospetto perché non combattono Damasco, ma concentrano i loro sforzi bellici solo contro lo Stato Islamico. Sul fallimento della strategia americana di addestramento delle unità ribelle siriane sono emblematiche le parole del direttore dell’Osservatorio siriano dei diritti umani, una Ong di stanza a Londra vicina all’opposizione siriana. Secondo Rami Abdurrahman, infatti, “i ribelli addestrati dagli Usa sono così pochi e così mal equipaggiati al punto tale da risultare una forza irrilevante”.
Una forza irrilevante per Abd Rahman soprattutto se si vuole combattere il regime, l’unico obiettivo dei ribelli “moderati” siriani. Un regime che, nonostante le evidenti difficoltà militari, ha incassato nelle ultime settimane una leggera apertura dall’Occidente. L’ultima, in ordine di tempo, è stata quella che è venuta oggi dalla Germania da parte della cancelliera Angela Merkel. Secondo Merkel, Damasco dovrebbe essere coinvolta in qualunque dialogo che mira a portare a termine il conflitto siriano. “Le barriere [per i migranti] non sono una soluzione al problema. Dobbiamo parlare di più con la Turchia e il Libano. Ma dobbiamo anche trovare una soluzione alla Siria e alla Libia. Ciò significa parlare anche con Bashar al-Asad” ha detto le leader cristiano democratica tedesca intervenendo al Summit dell’Unione Europea (Ue) a Bruxelles. L’idea della cancelliera è chiara: “non dobbiamo limitarci a parlare con gli Stati Uniti e la Russia, ma dobbiamo farlo anche con gli importanti partner regionali. Tra questi vi sono l’Iran, i paesi sunniti e l’Arabia Saudita”. Una posizione condivisibile sebbene giunta troppo in ritardo e solo adesso che l’Ue vuole sbarazzarsi definitivamente della grana rappresentata dagli immigrati.
L’occidente, preoccupato dall’ “invasione” incontrollata dei rifugiati sul suo territorio, sa che ora il presidente siriano può servire a contenere in parte il flusso innarestabile di persone. Una timida apertura verso Damasco che non viene dalla Francia il cui presidente Hollande ha ribadito che non potrà esserci più posto per al-Asad nel futuro della Siria. Nena News
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