Dopo il fallimentare programma di addestramento della Cia, l’Esercito Libero Siriano parla di nuove armi arrivate dagli Usa. L’obiettivo è il confine con l’Iraq e le milizie sciite irachene impegnate a Mosul
della redazione
Roma, 31 maggio 2017, Nena News – L’amministrazione Trump prosegue spedita nel rafforzamento delle forze che in Medio Oriente sono chiamate a contrastare l’Iran. Dopo i 110 miliardi in armi consegnati all’Arabia Saudita sotto forma di contratti di vendita – e su cui già si solleva un nuovo scandalo per il genero del presidente, nonché suo consigliere, Kushner – ieri fonti interne alle opposizioni siriane hanno parlato di un rinnovato sostegno militare da parte di Washington.
Sospeso dal presidente Obama, organizzato in programmi di addestramento della Cia fallimentari per stessa ammissione Usa (a fine 2015 il generale Austin, capo del comando centrale Usa, disse al Senato che ne erano stati formati 4 o 5, nonostante mezzo miliardo di dollari di investimenti), ora il supporto torna nell’agenda di un presidente che vuole ricostruire l’influenza Usa nella regione.
L’obiettivo è l’Iran e le milizie sciite impegnate sul terreno siriano al fianco del presidente Assad. Ieri la coalizione internazionale a guida Usa ha chiesto a Damasco di ritirare i miliziani che si sono spostati nelle ultime settimane ai confini con Iraq e Giordania e già bombardati una volta dai jet statunitensi, il 18 maggio. Nella zona di Badia, dov’è avvenuto il raid aereo, ci sarebbero 3mila combattenti di Hezbollah e altre unità legate all’Iran.
Ma non solo: l’obiettivo sono anche le Unità di Mobilitazione Popolare, le milizie sciite irachene che stanno combattendo in coordinamento con Baghdad l’Isis a Mosul. Le milizie si trovano a ovest di Mosul e, villaggio per villaggio, si stanno avvicinando al confine con la Siria dove – è l’idea dell’asse sciita – si ricongiungerebbe con i miliziani sciiti al di là della frontiera.
Ieri un leader dell’Esericto Libero Siriano, Tlass Salameh, ha detto che è in corso un incremento del sostegno militare da parte di Washington. Già all’inizio di maggio le prime armi sarebbero arrivate e, aggiunge, “arrivano ogni giorno, ma nelle ultime settimane hanno consegnato veicoli militari, missili e veicoli blindati”. Conferma un altro leader, Maghawir al-Thawra che alla Reuters riporta dell’arrivo di armi in una base vicino al confine con l’Iraq. Non nega né conferma invece l’esercito statunitense che, contattato dall’agenzia, non risponde.
Alle opposizioni, che non paiono mai impiegate contro l’Isis, viene ordinato di chiudere la frontiera, impedire il passaggio di miliziani sciiti iracheni che possano – dopo Mosul – andare a sostenere il governo di Assad, rafforzando di conseguenza l’asse guidato da Teheran.
Non solo, dunque, le Forze Democratiche Siriane impegnate a Raqqa: a maggio il Pentagono aveva annunciato la consegna di armi pesanti alla federazione di kurdi, assiri, cristiani, arabi, circassi che ha ormai circondato la “capitale” dello Stato Islamico Raqqa. L’ira della Turchia non aveva bloccato l’invio. In questo caso il fine politico è la sconfitta dello Stato Islamico nella sua roccaforte più simbolica, così da rilegittimarsi nel dialogo politico al momento in mano ad Astana e dunque a Iran, Turchia e Russia. Nena News