Dopo due anni il governo taglia l’ultima via di rifornimento alla città per le opposizioni. Scontri in corso mentre si attendono i riflessi del tentato golpe in Turchia: Assad spera in un ruolo più defilato di Ankara
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Roma, 19 luglio 2016, Nena News – A Damasco, come al Cairo, sono passati dall’euforia alla delusione. E ora nella capitale siriana i giornali governativi descrivono il fallito colpo di stato contro Erdogan – nemico dal presidente Bashar Assad – come un “complotto” organizzato dallo stesso leader turco per regolare i conti con le sue Forze Armate. «Per umiliare i comandi militari e renderli subordinati alla polizia (fedele a Erdogan)», ha scritto al Thawra.
Comunque sia andata in Turchia, i riflessi del fallito golpe si faranno sentire presto anche nella guerra civile che da cinque anni devasta la Siria. A Damasco (e in altre capitali arabe) pensano che Erdogan, almeno per un certo periodo, sarà occupato con le vicende interne del suo Paese e, quindi, meno impegnato con i gruppi armati anti-Assad che ha finanziato e armato nei passati cinque anni. Previsioni che saranno verificate sul terreno molto presto.
La crisi in Siria nelle ultime ore è entrata in una fase cruciale. L’esercito governativo, i combattenti libanesi di Hezbollah e altre milizie alleate hanno preso il controllo due giorni fa dell’ultima strada di collegamento, la “Strada del Castello”, per il settore orientale di Aleppo, dal 2012 nelle mani di jihadisti e “ribelli”. Vuol dire che lo schieramento anti-Assad ha perduto l’unico canale che aveva ancora disponibile per i rifornimenti di armi e generi di prima necessità. Ora le truppe dell’esercito regolare circondano tutta la città e sta per avere inizio un assedio della zona orientale di Aleppo che durerà settimane, forse mesi. Con un impatto enorme sulla vita dei civili che ancora vivono in quella parte della città. 300mila secondo i “ribelli”. Molti di meno secondo Damasco, poiché chi ha potuto farlo è scappato o si sarebbe trasferito dall’altra parte della città.
La perdita della “Strada del Castello” invece è certa, lo hanno confermato proprio i rappresentanti delle formazioni armate ribelli: ora avrebbero riserve di armi, munizioni, viveri e medicinali sufficienti per 2-3 mesi. È possibile che nelle prossime settimane, dopo aver rafforzato le posizioni intorno alla città e messo sotto pressione le milizie avversarie, Damasco offra a jihadisti e “ribelli” di abbandonare la città in modo da evitare combattimenti casa per casa che finirebbero per avere conseguenze pesanti soprattutto per i civili già molto provati.
Al momento però, questa via d’uscita auspicabile è lontana e le forze anti-Assad potrebbero decidere di resistere ad oltranza in un inutile tentativo di negare la vittoria alle truppe governative. La riconquista di Aleppo, la seconda città della Siria e fino al 2011 capitale economica del Paese, avrebbe un significato eccezionale per il governo centrale oltre ad aprire la strada ad altre riconquiste territoriali. Invece per le opposizioni perdere i quartieri orientali di Aleppo sarebbe una sconfitta grave e umiliante.
Nelle ultime 48 ore si è combattuto intorno ad Aleppo, con i miliziani islamisti di Jaiysh al Nasr che hanno provato in più punti a spezzare l’assedio ma hanno perduto almeno 16 uomini sotto il fuoco dell’artiglieria e delle armi pesanti dei governativi, senza dimenticare i bombardamenti condotti dall’aviazione siriana e russa. Secondo notizie, non verificabili in modo indipendente e fornite dall’Osservatorio siriano per monitoraggio dei diritti umani (una Ong vicina all’opposizione anti-Assad con sede a Londra), gli attacchi aerei governativi domenica avrebbero fatto almeno 28 morti, tra i quali cinque bambini e sette donne.
Raid aerei, questa volta della Coalizione anti-Isis a guida statunitense, hanno fatto 15 morti nella cittadina di Manbij e altri sei nel villaggio di Tokhar. Sarebbero almeno 100 le vittime civili dei raid aerei della Coalizione su Manbij, dove i 50mila abitanti di fatto sono ostaggi dei miliziani dell’Isis decisi ad usarli come scudi umani. Da settimane Manbij è sotto attacco da parte delle “Forze democratiche siriane”, uno schieramento di formazioni armate a maggioranza curda, armato e finanziato dagli Stati Uniti.
In violenti combattimenti avvenuti nei pressi della Diga di Tishreen, non lontano da Kobane, la cittadina simbolo della resistenza allo Stato islamico, i combattenti delle YPG curde hanno ucciso 20 miliziani dell’Isis tra i quali un comandante, Abu Firas al-Safwani.
Più a sud la tensione resta forte a ridosso delle Alture siriane del Golan, occupate da Israele 49 anni fa, dopo che domenica un drone, pare lanciato da Hezbollah, ha sorvolato la zona durante esercitazioni militari israeliane. Nonostante i tre missili terra-aria lanciati dall’esercito di Tel Aviv, il velivolo comandato a distanza è rientrato in Siria senza problemi.
Michele Giorgio è su Twitter: @michelegiorgio2