Inaugurando il gasdotto Turkstream, Turchia e Russia hanno invitato ieri le parti rivali libiche al cessate il fuoco entro la mezzanotte del 12 gennaio. Roma, intanto, riceve il generale Haftar ma non il premier al-Sarraj che, stizzito dalla presenza a Palazzo Chigi dell’uomo forte della Cirenaica, rifiuta l’invito e torna a Tripoli
di Roberto Prinzi
Roma, 9 gennaio 2019, Nena News – I veri protagonisti della crisi in Libia, Turchia e Russia, hanno ieri invitato le parti rivali libiche (il Governo di accordo nazionale – Gna – sostenuto da Ankara e il generale Haftar da Mosca) a raggiungere un cessate il fuoco nel paese nordafricano entro la mezzanotte del 12 gennaio. In un comunicato, i due leader, presentandosi “come intermediari”, hanno chiesto ai loro rispettivi alleati di porre fine alle violenze e stabilizzare la situazione nella capitale Tripoli e nelle altre città del Paese. “Vi invitiamo immediatamente a sedervi insieme al tavolo negoziale – si legge ancora nella nota congiunta – siamo fiduciosi che i libici possano decidere indipendentemente del loro futuro nella loro patria all’interno di un dialogo nazionale che tenga in conto gli interessi di tutti i cittadini senza alcuna eccezione”. A prendere la parola ieri sono stati anche i ministri degli Esteri turco e russo, Cavusoglu e Lavrov secondo cui l’inizio del cessate il fuoco potrà dare slancio al “Processo di Berlino” che, programmato da tempo per gennaio ma che non ha ancora un data stabilita, mira a trovare una soluzione diplomatica al caos libico.
L’incontro tra Putin e Erdogan è avvenuto ieri a Istanbul tra strette di mano calorose e sorrisi. I motivi per festeggiare, dopo tutto, c’erano tutti per i due leader: ieri è stato inaugurato ufficialmente il gasdotto TurkStream (lungo 930 km) che da Anapa sul Mar Nero fino a Kikikoy (a ovest di Istanbul) pomperà un flusso potenziale annuale di gas russo pari a circa 30miliardi di metri cubi. Un progetto che, con la sua seconda parte, si estenderà anche verso ovest portando il gas di Mosca nel sud est dell’Europa attraverso Bulgaria, Serbia e Ungheria bypassado così l’Ucraina i cui rapporti con il Cremlino sono a dir poco complessi. Il Turkstream ribadisce gli ottimi rapporti tra Russia e Turchia sia dal punto di vista diplomatico (il recente caso siriano con l’intesa anti-curda) che economico (l’acquisto da parte turca lo scorso anno del sistema di difesa missilistico S-400). Poco importa che restano delle frizioni tra i due Paesi: in Siria dove continua l’offensiva del governo siriano di al-Asad appoggiato dai jet di Mosca ad Idlib, regione dominata dal ramo siriano di al-Qaeda e dove la Turchia sponsorizza gruppi siriani islamisti, e in Libia dove le due parti si situano su parti decisamente opposte della guerra civile. Una distanza che a prima vista potrebbe sembrare incolmabile nel Paese nordafricano, sottolineano non pochi commentatori che in queste ore ritengono il cessate il fuoco auspicato da Putin ed Erdogan una pia illusione.
Eppure le distanze tra i due alleati diminuiscono se si pensa al vero obiettivo che Russia e Turchia hanno in mente in Libia: dividere l’esteso stato africano in due parti rappresentate dalla Tripolitania del Gna (a ovest) sotto l’influenza turca e quella Cirenaica (a est) sotto quella russa. Resta da capire come i sorrisi di Istanbul si tradurranno però sul campo di battaglia dove da aprile il generale Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico che fa capo al Parlamento di Tobruk (che a differenza di quello di Tripoli non è riconosciuto dalla comunità internazionale) ha dato il via all’offensiva per sfilare la capitale dalle mani di al-Sarraj. Un tentativo finora non riuscito sebbene ormai i suoi uomini – grazie e soprattutto al sostegno estero, tra cui un centinaio di mercenari russi – hanno fatto significativi progressi militari in gran parte del Paese riuscendo a conquistare martedì anche la città chiave di Sirte.
E mentre i due attori principali della scena mediorientale festeggiavano sul Bosforo, in Italia si consumava la grande farsa, rappresentazione plastica dello scarso peso di Roma nella questione libica (al di là dei suoi proclami di protagonismo). Il premier italiano Conte, infatti, incontrava nel pomeriggio a Palazzo Chigi il generale Haftar senza però riuscire a vedere anche al-Sarraj (teoricamente il nostro uomo) che, stizzito dalla presenza nella capitale dell’uomo forte della Cirenaica, preferiva far ritorno direttamente a Tripoli da Bruxelles dove in mattina aveva incontrato i massimi vertici dell’Unione Europea (Ue). L’Italia, che voleva quindi giocare in anticipo rispetto agli altri partener europei provando a mettere in una stessa stanza i due leader rivali, si è ritrovata di fatto con un pugno di mosche in mano, ovvero con un solo protagonista (quello tra l’altro più riottoso verso Roma) e che aveva le orecchie più rivolte a Istanbul che al premier italiano. Conte, infatti, gli ripeteva la solita litania senza offrirgli nulla in cambio: preoccupazione per la continua escalation sul terreno, unica soluzione quella politica esprimendogli tra l’altro la forte condanna dell’Italia per il recente attentato dell’Enl all’Accademia militare di Tripoli. Dichiarazioni che al generale, già autore di diversi massacri di civili, avranno lasciato il tempo che trovano.
Nelle stesse ore in cui il premier incontrava il capo dell’Esercito nazionale libico, il fallimentare protagonismo italiano sul dossier libico aggiungeva un nuovo capitolo: il ministro degli Esteri Di Maio, in missione al Cairo con i suoi colleghi di Egitto (Sameh Shoukry), Francia (Jean-Yves Le Drian), Grecia (Nikos Dendias) e Cipro (Nikos Christodoulides), decideva di non firmare il comunicato finale congiunto perché, a suo giudizio, troppo sbilanciato contro il Gna di Sarraj e la Turchia. Il leader 5stelle ha infatti sottolineato la necessità dell’Ue di “non sbilanciarsi da una sola parte”, ma piuttosto di essere “in prima linea per il dialogo e la moderazione”. L’attività diplomatica di Di Maio continua oggi in Algeria dove, ha scritto sul suo account di Facebook, discuterà di Libia prima con il suo pari Boukadoum, poi con il premier Djerrad e il neopresidente Tebboune. Algeri è stata recentemente invitata alla Conferenza internazionale di Berlino sulla Libia sponsorizzata dall’Onu e, sebbene abbia più volte dichiarato di voler restare “neutrale” nel conflitto libico, ha definito due giorni fa “Tripoli, una linea rossa”. Nena News