Aumenta il numero di detenuti, mentre parte la battaglia sui media e per le strade. Israele risponde con isolamento, confische di libri e vestiti e trasferimenti
della redazione
Roma, 24 aprile 2017, Nena News – È trascorsa una settimana dall’inizio dello sciopero della fame di massa dei prigionieri politici di Fatah nelle carceri israeliane. Ma la battaglia, il braccio di ferro, si gioca anche fuori dalle celle: è una battaglia fatta di informazione e propaganda, ma anche delle azioni degli attivisti delle due parti.
Ai membri del movimento israeliano nazionalista e di ultra destra National Union che hanno organizzato un barbecue di fronte al carcere di Ofer, dove molti dei detenuti in sciopero sono rinchiusi, per rendere il loro digiuno ancora più difficile, hanno risposto venerdì manifestazioni di solidarietà palestinesi in Cisgiordania. Sotto tono, dice qualcuno: poco partecipate, si paventa, per l’intervento di Fatah che vuole affossare la protesta e con lei il suo leader Marwan Barghouti.
Erano comunque migliaia le persone che hanno marciato venerdì a Ramallah. Partiti dalla centrale piazza Yasser Arafat hanno provato a raggiungere il checkpoint di Beit El, fuori dalla città, dove si sono trovati di fronte l’esercito israeliano. Sono partiti gli scontri e cinque manifestanti palestinesi sono rimasti feriti.
Ma la battaglia si combatte anche sui media, con quelli filo-governativi israeliani che danno il bilancio di detenuti che cessano lo sciopero e quelli palestinesi che al contrario tengono il conto dei prigionieri che si uniscono. Ad una settimana dalla Giornata dei Prigionieri e dall’inizio dello sciopero “Libertà e Dignità” di 1.500 prigionieri, giovedì si sono uniti altri sei detenuti nel carcere di Megiddo, subito posti in isolamento dalle autorità carcerarie israeliane, e ieri altri 34 della stessa prigione.
Secondo i media israeliani 88 prigionieri avrebbero invece cessato il digiuno, notizia che viene smentita da Issa Qaraqe, capo del Comitato per gli affari dei prigionieri dell’Autorità Nazionale Palestinese. Chi, al contrario, si è unito alla protesta è un gruppo di detenuti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, nella prigione di Ramon, subito posti in isolamento. Un atto che pare voler allargare anche ad altre fazioni palestinesi uno sciopero partito da Fatah e dal leader incarcerato Barghouti, in aperta sfida ai vertici del partito.
Israele risponde incrementando il numero di detenuti in isolamento, quello dei trasferimenti in altri carceri dei raid dentro le celle, confiscando libri e vestiti e vietando le visite di familiari e legali. A protestare per i prigionieri sono le associazioni fuori che stanno facendo pressioni e presentando appelli contro il divieto di far visita ai propri assistiti. Ma, come speso accade, Tel Aviv non intende scendere a patti: nessuno dei prigionieri a digiuno nelle prigioni di Ashkelon, Gilboa, Eshel e Nafha hanno finora potuto incontrare un legale o un familiare.
Chiedono dignità nelle prigioni, la fine dell’uso sistematico di torture e isolamento, delle carenze nell’assistenza medica e dell’utilizzo della detenzione amministrativa, misura cautelare che non prevede processo, autorizzata dal diritto internazionale solo in casi di emergenza e per tempi limitati ma che Israele applica da decenni senza alcun limite. Nena News
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