Un ritratto dell’intellettuale palestinese, l’introduzione delle idee marxiste nella questione palestinese e il ruolo di informazione che ricoprì in Libano e nel mondo arabo. Una figura che Israele non è mai riuscita a seppellire: oggi il poeta e giornalista vive una seconda nascita
di As’ad Abu Khali – The Electronic Intifada
Roma, 17 luglio 2017, Nena News – All’inizio degli anni Settanta tre intellettuali palestinesi – Ghassan Kanafani, Majed Abu Sharar e Kamal Nasser – lavorarono alla creazione dell’ufficio di informazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
In un decennio terroristi israeliani riuscirono ad ucciderli tutti, Kanafani nel 1972, Nasser nel 1973 e Abu Shahar nel 1981. Il movimento sionista non si è mai preoccupato di distinguere nelle sue campagne di uccisione tra civili e militari: in molte occasioni il governo israeliano (e il movimento sionista prima della fondazione dello Stato di occupazione) ha preso di mira civili nell’obiettivo di generare terrore nella popolazione. Presumibilmente Israele voleva uccidere Kanafani e zittire la sua voce. Ma il piano non ha funzionato.
Quarantacinque anni dopo, questo mese, dal suo assassinio la presenza di Kanafani è onnipresente. Nei social media arabi, anche tra le generazioni più giovani che non sono abituate a leggere libri, lo si nota ovunque. La sua immagine è la foto del profilo di un numero imprecisato di arabi e le citazioni dei suoi articoli riempiono lo spazio della rete. Suoi dipinti, poster, immagini sono comuni. Sono simbolo della rivoluzione e della Palestina e di molto altro.
La pubblicazione delle sue lettere d’amore alla scrittrice siriana Ghada Samman (che opportunamento non ha mai pubblicato le sue lettere a Kanafani) nel 1992 hanno prodotto una nuova immagine di Kanafani. Quelle lettere sono citate diffusamente da donne arabe sui social media e i suoi romantici desideri per Samman sono oggi frutto di leggende, una saga simile a quella di Romeo e Giulietta, o Qays e Layla tra gli arabi.
Non ho mai conosciuto Ghassan Kanafani: fu ucciso quando avevo solo 12 anni. Eppure ho sentito parlare di lui fin da piccolo; non ricordo un tempo in cui non conoscevo il suo nome. Mio zio, Naji Abu Khalil, lavorò con Kanafani a Huriyyah, il microfono del movimento nazionalista arabo. La rivista era il quartier generale degli intellettuali di avanguardia che parlavano di arte, letteratura e politica.
Furono coloro che introdussero ai lettori arabi gli scrittori di sinistra francesi e che parlarono della causa palestinese con un linguaggio prettamente marxista – un linguaggio che era nettamente diverso da quello stantio e arcaico degli arabi marxisti ortodossi che mai si ripresero dall’approvazione acritica del sostegno sovietico al piano di partizione Onu della Palestina del 1947.
Occupato nella liberazione della Palestina
Ricordo come affettuosamente mio zio mi parlava di Kanafani e quanto la sua storia d’amore a senso unico con Samman infastidisse i suoi amici. Kanafani era molto popolare tra donne e uomini eppure si era fissato con lei. I suoi amici insistevano perché questa fissazione finisse, inutilmente: Samman occupava il cuore di Kanafani ma non la sua mente che era piena di preoccupazioni per il più ampio progetto di liberazione della Palestina.
Kanafani era considerato anche vulnerabile: soffriva di diabete e doveva iniettarsi ogni giorno insulina. A volte sveniva e doveva mangiare dolci.
Era poi conosciuto nella società dei cafè in Libano per il suo senso dell’umorismo. Con mio zio cospirarono per prendersi gioco del nuovo “movimento del libero verso” della destra libanese associata con la rivista Shi’r. Una volta Kanafani e mio zio (tra gli altri, se ricordo bene) misero insieme frasi diverse e sconnesse e le inviarono per la pubblicazione. Come previsto, il poema fu pubblicato con grandi elogi per il talento di quella nuova persona, per cui era stato usato un nome inventato.
Ma Kanafani era conosciuto a tutti anche perché prolifico giornalista e editorialista. Era essenziale per buona parte delle pubblicazioni dell’epoca. Era l’editore di Filastin, supplemento del popolare quotidiano al-Muharrir (nazionalista arabo, che rappresentava la corrente opposta a An-Nahar, di destra, che esprimeva le posizioni di Stati Uniti e Golfo). Al-Muharrir fu fondamentale per liberare molti giovani libanesi dai falsi miti nazionalisti e anche per inculcare in loro forti posizioni sulla questione palestinese.
Kanafani scrisse anche per la rivista al-Hawadeth e il quotidiano al-Anwar dove avviò il supplemento culturale settimanale. Sulla prima scrisse usando come pseudonimo Rabie Matar e nel secondo Faris Faris. Ma il suo ruolo mainstream e di successo in Libano finì dopo il 1967. Sulla spinta della sconfitta nella guerra dei giorni i vari rami del movimento nazionalista arabo si trasformarono in organizzazioni marxiste-leniniste nazionali.
Quello palestinese divenne il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Pflp) alla fine del 1967. All’insaputa di molti, l’idea di una rivista che lo personificasse non venne da lui. L’uomo che lanciò al-Hadaf, il megafono fino ad oggi del Pflp, non fu altri che Wadie Haddad. Haddad aveva un grande senso della comunicazione e sapeva che l’informazione era parte della lotta palestinese. Era anche preoccupato perché la maggior parte degli intellettuali di sinistra del movimento nazionalista arabo gravitavano intorno a Nayef Hawatmeh, arci-rivale di George Habash, il miglior amico e il più vicino compagno di Haddad. Che dunque investì denaro e assegnò a Kanafani il progetto, che partì nel 1969.
L’effetto Kanafani
Al-Hadaf non era uguale a nessuna rivista. Ebbe un effetto sui media rivoluzionari in tutto il mondo. Dai suoi uffici a Corniche al-Mazraa a Beirut, Kanafani creò e produsse alcuni dei più spettacolari manifesti della rivoluzione palestinese.
Rese le rivoluzionarie idee arabe marxiste qualcosa di mitico e alla moda, a differenza dei noiosi media del Partito Comunista libanese. Combinò l’arte con la letteratura e l’informazione, tutto a favore della liberazione della Palestina. La rivista fu anche scrupoloso nella trasparenza: pubblicava tutti i contributi finanziari che riceveva da tutto il mondo. A volte arrivavano trasferimenti di denaro da studenti arabi in paesi occidentali (prima che venisse vietato come atto di terrorismo) e donazioni dai residenti poveri dei campi profughi palestinesi.
La rivista e Kanafani stesso furono i primi a portare l’attenzione su poeti arabi (in particolare Mahmoud Darwish, Samih al-Qasim e Tawfiq Zayyad) della vasta platea araba. Ruppe con lo stupido tabù che guardava con sospetto a questi arabi che vivevano sotto in Israele, sotto il controllo dello Stato di occupazione.
Al-Hadaf fu la bandiera del Pflp e gente giungeva da tutto il mondo per incontrare Kanafani e unirsi all’organizzazione. La sua politica della porta aperta era una debolezza e molti funzionari di intelligence nemiche furono in grado di studiarlo da vicino e seguirlo. Nelle settimane precedenti al suo assassinio, i dipendenti di Al-Hadaf notarono un numero inusuale di donne occidentali far visita alla rivista, sempre presentandosi come giornaliste.
Kanafani non era mai stanco di spiegare la causa palestinese a chi lo chiedeva. Il suo inglese non era fluente ma riusciva a esprimersi chiaramente e con forza. Alcuni più intransigenti e dogmatici si facevano gioco del tempo speso da Kanafani con reporter occidentali, ma lui rispondeva sempre dicendo di non digerire le gare al rialzo di persone che non capivano il suo lavoro per la causa palestinese.
Spiegava come aveva lasciato un lavoro sicuro a Al-Anwar, che lo pagava duemila sterline libanesi, per lavorare con il Pflp che lo pagava 700 (e aggiungeva che Al-Anwar pagava anche un bonus al salario mensile per benefit vari).
Habash e Haddad lo stimavano moltissimo. Haddad lo interrogava sulla situazione internazionale prima di pianificare o realizzare un’operazione. Kanafani condivideva con entrambi gli ultimi dibattiti in Occidente sulla questione palestinese. Habash lo considerava tra i suoi più cari amici e quando morì disse: Ho perso metà di me stesso.
Qualcuno ha detto che Habash non fu più lo stesso dall’assassinio di Kanafani. Quando il Pflp tenne il suo terzo congresso nel 1972, Habash assegnò a Kanafani la scrittura del rapporto politico, poi diventato famoso come “Tasks of the new stage”.
Il calcolo di Israele
Era chiaro che gli israeliani conoscevano il talento di persone come Kanafani e il loro ruolo nella causa palestinese, anche se non avevano mai svolto attività militari nel movimento. Israele preferisce avere intorno persone come Mahmoud Abbas, Muhammad Dahlan, Yasser Abed Rabbo e Jibril Rajoub. Queste persone continuano a danneggiare la rivoluzione palestinese mentre Kanafani la servì ogni giorno della sua vita.
Rapporti di archivio declassificati americani mostrano l’interesse sul caso di Ghassan Kanafani. Americani e israeliani erano entrambi infastiditi dal ruolo mediatico di Kanafani e alcuni documenti Usa fanno particolare riferimento a sue conferenze stampa. Settimane prima del suo omicidio, Kanafani fu picchiato da dei malviventi a Beirut ovest. An-Nahar pubblicò la storia e mise in dubbio la denuncia di Kanafani. Quando Haddad lo venne a sapere, si preoccupò. Gli altri gli dicevano: se fosse stato il Mossad, lo avrebbe ucciso all’istante. Ma lui rispondeva: non necessariamente. Non necessariamente. Il presentimento di Haddad era giusto.
Non è chiaro se l’incidente avesse a che fare con il suo omicidio. Kanafani non prese alcuna precauzione. Era abitudario, si sapeva dove andava: a Al-Hadaf e nelle varie caffetterie frequentate da giornalisti dell’epoca. E le domeniche le passava con la sua famiglia. Per i suoi nemici erano facile individuarlo, soprattutto perché viveva (stranamente) a Beirut est, una roccaforte della destra libanese e dei partiti anti-palestinesi.
Israele non ha dovuto mai giustificare omicidi di artisti, poeti, calligrafi o giornalisti. Israele (e prima il movimento sionista) non si è mai preoccupato di spiegare lo schema di assassinii, del prendere di mira dei civili. La gente in Occidente disse di quell’omicidio: Kanafani era un membro dell’ufficio politico del Pflp quando morì. La verità – raramente svelata – è che Kanafani divenne membro postumo. In vita non ebbe mai la pazienza di affrontare la vita da membro di un’organizzazione, consumata tra lunghe e noiose riunioni.
Non è esagerato dire che l’eredità di Kanafani sta vivendo una seconda nascita con la sua scoperta da parte delle nuove generazioni di arabi. Molti siti web gli sono dedicati e i suoi libri sono pubblicati in diverse edizioni (e piratati in altrettante).
Chi avrebbe mai detto che un uomo che aveva solo 36 anni quando morì avrebbe avuto una tale influenza? Un altro errore di calcolo sionista.
As’ad Abu Khalik è professore di scienze politiche alla California State University
Traduzione a cura della redazione di Nena News